A Genova si è conclusa una vicenda giudiziaria simile a quella di Alessandria, di cui parlano i giornali in questi giorni, ma ancor più agghiacciante.
L’Ordinanza 02070 – 2018 del 5-12-17 pubblicata il 29 gennaio dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione, a firma dei giudici Giacomo Travaglino, Antonella Di Florio, Danilo Sestini, Pasquale Gianniti, Augusto Tatangelo, ha confermato la sentenza del Tribunale di Genova, che condanna l’Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino (IRCCS) a risarcire una donna, A.B.
A.B. aveva ottenuto d’abortire (volontariamente in questo caso) alla 6ª settimana di gestazione, ma i carnefici non si sono accorti della presenza di una gemellina.
Quando la madre si rende conto di essere ancora incinta è troppo tardi per l’aborto e, anche a Genova, la bambina nasce sana.
Ad Alessandria, invece, i medici non eseguono bene il raschiamento, a seguito – a quanto dice La Repubblica – di un aborto spontaneo: c’era anche lì una gemellina che nasce sana.
In entrambi i casi i genitori chiedono il risarcimento del danno da nascita indesiderata.
Inizialmente i giudici concedevano tale risarcimento solo in caso di nascita di un bambino “imperfetto”, oggi si va consolidando una giurisprudenza che lo riconosce anche se il bambino (in questo caso due bambine) nasce sano e anche se la madre non ha problemi di salute, ma solo economici. Nel caso di Alessandria – poi – è stato riconosciuto il risarcimento anche al padre: incredibile dictu. Il padre che dalla 194 e dalla cultura mortifera femminista è totalmente ignorato, quando osasse voler tentare di salvare un suo figlio dall’aborto, ha però diritto al risarcimento se l’aborto lo voleva e quel figlio nasce lo stesso.
Il Tribunale di Genova con la sentenza 3646/2002 aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale di nascita indesiderata per la lesione della libertà di autodeterminazione della madre. Dopo il ricorso in appello, un primo ricorso in cassazione e un secondo esame della causa da parte della Corte d’Appello di Genova, l’ennesimo ricorso in Cassazione chiedeva in pratica solo una somma maggiore a titolo di risarcimento (che la Cassazione non ha concesso).
Ma la Suprema Corte ha ribadito, visti i precedenti (Cass. 14488/2004, 13/2010, 16754/2012) che la nascita indesiderata, anche di un figlio sano, lede il diritto all’autodeterminazione e alla libertà della madre, nonché il generico “diritto alla salute” della stessa, inteso come benessere psicofisco della persona (C.Cost. 438/2008), e – come si desume anche dagli artt. 1 e 4 della l. 194/1978 – il «diritto a non dar seguito alla gestazione».
Chissà se gli illustri giudici hanno riflettuto su tale «diritto a non dar seguito alla gestazione»: esso consiste nel diritto di uccidere una persona piccola e indifesa, incapace di protestare e di strillare.
Perché se una donna tentasse di uccidere un suo figlio già grandicello, forse sarebbe condannata o forse le si riconoscerebbe l’infermità mentale, ma i servizi sociali lascerebbero il piccolo sopravvissuto alla cura e alla custodia della madre infanticida?
E la gemellina che è nata, a Genova, può essere lasciata in balia di una donna che la voleva uccidere tanto da far causa ai medici che non l’hanno eliminata?
I nostri giudici, invece, si preoccupano di riconoscere alle madri il diritto d’uccidere. E ai medici il dovere di uccidere. E condannano i medici a risarcire una donna per non averle ucciso per bene tutti i figli che aveva in grembo.
Si dice che nel grembo materno c’è solo un ammasso di tessuto fetale, non c’è una persona che ha diritto alla vita. Ebbene, stiamo attenti: presto qualcuno ci verrà a dire che noi siamo solo un “ammasso di tessuto adulto”.
Redazione
Questa notizia è stata ripresa anche da Il Sussidiario
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