Il 3 dicembre, dal 1981, si celebra la Giornata Internazionale della Disabilità, in un mondo che non riconosce il diritto alla vita delle persone disabili: vanno eliminate prima di nascere con l’aborto, Gli va accorciata la vita, dopo che sono nate, con le varie forme di eutanasia.
Per esempio se passa la legge sulle DAT, la vita dei disabili mentali è nelle mani di un “rappresentante” che può decidere in qualsiasi momento “nel suo miglior interesse”, e senza il suo consenso, di farlo morire di fame e di sete (ma con tanto amore!).
Si predica l’inclusione, ma non si garantisce il diritto alla vita dei disabili
Nel mondo, secondo le statistiche, si calcola che i disabili siano tra il 10 e il 15% della popolazione. L’ONU ha stilato la sua bella Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, e si applaudono le Paralimpiadi o i Mondiali di Para-atletica. Tuttavia, è evidente che i disabili continuino ad essere ingiustamente discriminati.
Anche in questo caso, “discriminare” giustamente è necessario: le persone disabili hanno un qualche svantaggio fisico o psichico rispetto ai “normodotati”. E la realtà oggettiva non si può negare: mettere (solo) un impiegato sordomuto allo sportello “informazioni al pubblico” di un ufficio è una follia – vista con i nostri occhi in un ufficio del Comune di Roma. Ma lo svantaggio non deve essere occasione di stigma o di emarginazione (l’impiegato in questione poteva svolgere qualsiasi altro lavoro, persino lavoro da dirigente in quell’ufficio, se ne aveva le competenze e i titoli...)
I disabili – quando non gli si nega il diritto alla vita – soffrono ingiuste discriminazioni economiche
Le famiglie con un membro disabile devono sostenere costi maggiori per tutto: istruzione, sanità, trasporti ed è giusto che siano supportate economicamente. Ma è anche importante sottolineare che in primis ai disabili va data la possibilità di lavorare e di rendersi utili agli altri. Poi l’aiuto economico o la pensione – se serve.
Si parla tanto di disabilità, ma non di persone con disabilità.
La cultura che idolatra la salute e il benessere si concentra sulla disabilità piuttosto che sulle persone disabili. La lingua, le parole, sono spesso offensive ed esclusive...
Per esempio, una madre di un bambino con la sindrome di Down chiede che quando si fanno le diagnosi in utero si smetta di dire che c’è “il rischio” che il bambino sia Down, ma si dica che c’è la “possibilità” che il bambino sia Down: potrebbe essere un inizio, il linguaggio fa cultura, cambia il modo di pensare.
La mentalità eutanasica, crudele, ipocrita che presenta la morte come il “miglior interesse” delle persone disabili
Ma la discriminazione più ingiusta, odiosa e pericolosa nei confronti dei disabili è posta in essere dalla mentalità eutanasica che si va diffondendo. Ai disabili si va sottilmente instillando il “dovere” di morire per non essere di peso ai parenti e alla società (John Hardwig ha scritto un saggio già nel 1997 “C’è un dovere di morire?” che ha provocato una lunga controversia).
Speriamo che le persone come Lord Shinkwin (che sta sostenendo una proposta di legge perché cessi la discriminazione dei disabili con l’aborto “terapeutico” – dicasi “eugenetico”) possa continuare a parlare in favore della dignità delle persone disabili.
Intanto all’ONU si esercita una pressione significativa per imporre la legalizzazione universale dell’aborto eugenetico: per esempio si diffonde la mentalità che promuove l’aborto come un sistema di prevenzione della disabilità. L’ipocrisia perfida è evidente: l’aborto non cura né previene l’anomalia cromosomica, ma uccide la persona che ha la trisomia 21.
Redazione
Per il comunicato stampa di ProVita in materia, vedere tra gli altri: >Agenzia Nova, L’Eco del Litorale, Radio BBSI, Imperia Tv
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto