Dal 2011, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 21° giorno del terzo mese dell’anno Giornata mondiale della sindrome di Down (sdD) per sensibilizzare l'opinione pubblica in favore dell'accoglienza e del rispetto delle persone con la triplicazione del 21° cromosoma.
Tutti sanno che questa condizione genetica ha delle conseguenze sullo sviluppo psico-fisico del portatore: le persone con sdD sono “diverse”, presentano di solito un ritardo mentale più o meno lieve, e perciò sono considerate imperfette. Si dà per scontato che siano “infelici”, quindi è da pazzi egoisti metterle al mondo. Sono un peso per loro stesse, per la famiglia e per la società.
Grazie a questo ragionamento quando viene diagnosticata - con sistemi di screening prenatale sempre più efficaci e precoci - la sdD a un bambino, la madre che lo porta in grembo è invitata caldamente ad abortire. Se non lo fa va sempre più spesso incontro a stigma ed emarginazione sociale, che a certe latitudini sono tanto marcate da far registrare “l’eliminazione totale della sdD” (espressione quanto mai imprecisa, perché non sono riusciti ad eliminare la trisomia 21, ma tutte le persone che ne sono portatrici, che è cosa ben diversa). Paesi come Islanda e Danimarca si vantano d’essere “Down-free”. Nel resto d’Europa e nell’America settentrionale la percentuale media di aborti eugenetici di bambini con sdD supera decisamente il 50%, con punte dell'80%. Un vero genocidio che si consuma nel silenzio omertoso dei media e degli opinion makers, che poi, però, il 21 marzo celebrano, perché lo chiede l’Onu, la Giornata mondiale.
Grazie a questo ragionamento quando viene diagnosticata - con sistemi di screening prenatale sempre più efficaci e precoci - la sdD a un bambino, la madre che lo porta in grembo è invitata caldamente ad abortire. Se non lo fa va sempre più spesso incontro a stigma ed emarginazione sociale, che a certe latitudini sono tanto marcate da far registrare “l’eliminazione totale della sdD” (espressione quanto mai imprecisa, perché non sono riusciti ad eliminare la trisomia 21, ma tutte le persone che ne sono portatrici, che è cosa ben diversa). Paesi come Islanda e Danimarca si vantano d’essere “Down-free”. Nel resto d’Europa e nell’America settentrionale la percentuale media di aborti eugenetici di bambini con sdD supera decisamente il 50%, con punte dell'80%. Un vero genocidio che si consuma nel silenzio omertoso dei media e degli opinion makers, che poi, però, il 21 marzo celebrano, perché lo chiede l’Onu, la Giornata mondiale.
In una società che si vanta di essere “inclusiva” e “non discriminatoria”, le persone con sdD, come tutti, hanno il diritto di andare a scuola, il diritto di divertirsi, il diritto di lavorare, il diritto di crescere e di realizzarsi a livello personale e sociale, ma soprattutto hanno il diritto di nascere.
Le famiglie delle persone con sindrome di Down sono spesso lasciate sole, confuse e spaventate per la presenza di quel cromosoma in più. Esse invece hanno diritto di essere aiutate ad affrontare subito gli eventuali problemi del nascituro.
La scienza buona che studia le cause della trisomia 21 e i rimedi alle problematiche ad essa connesse (vanno segnalati gli studi del professor Strippoli all’Università di Bologna e il “Progetto Down” del professor Noia del Gemelli di Roma) ha diritto ad essere finanziata da uno Stato che ha “il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona umana" (art. 3 Cost, secondo comma).
In occasione di questa Giornata, di solito, si dà voce alle persone con sdD che si sono distinte per qualche merito particolare: quei giovani che conducono bar, ristoranti, pizzerie o bed & breakfast (ce ne sono in tutta Italia, da La locanda dei Girasoli a Roma, al bar Non uno di meno di Alassio, al ristorante Gusto P di Milano); quelli che si sono distinti negli sport, come la nostra campionessa di atletica Nicole Orlando, quelli che compiono gesti eroici, come Valerio Catoia di Latina (nostro testimonial!), esperto nuotatore che ha salvato una bambina che stava affogando, quelli che vanno a parlare all’Onu ecc. ecc.
Cosa si vuole dimostrare, portando questi esempi?
Che le persone con sdD non devono essere sterminate né discriminate perché sono “brave” come tutti gli altri?
E, invece, i portatori di disabilità più gravi che “non sanno fare niente”?
E, invece, i portatori di disabilità più gravi che “non sanno fare niente”?
Non bisogna sottovalutare questa domanda. Molte persone, anche di buon cuore, anche “bravi cristiani” oggi tremano nel darle una risposta.
Perché tutti noi abbiamo subito da decenni un martellante e sottile lavaggio del cervello che ci porta a considerare “una vita degna di essere vissuta” solo se “perfetta”: dobbiamo essere belli, efficienti, giovani e ricchi per essere accettati. Anche in questo tempo disgraziato di Covid, siamo stati portati a mettere al primo posto la salute, prima della libertà, prima della verità…
Abbiamo lentamente dimenticato che ogni essere umano ha una dignità somma, per quel che è, a prescindere da ciò che fa.
Anche perché a guardarci bene, nonostante i nostri sforzi, chi di noi può definirsi perfetto? Chi di noi sa “fare tutto”? A chi diamo il potere di decidere quali sono i canoni della accettabilità delle imperfezioni? Già oggi sono vittime dell’aborto eugenetico non solo i bambini con disabilità gravi, o i bambini con sdD, ma anche quelli con il piede torto o il labbro leporino, o con altre imperfezioni che possono essere validamente rimediate.
La vita umana, invece, ha un valore inestimabile ed è sempre degna di essere vissuta: solo così siamo davvero “inclusivi”.
Le persone sono tali non per quel che sanno o non sanno fare, ma per quel che sono, perché sono esseri umani, cioè soggetti di relazioni, capaci di amare e di essere amati. E solitamente le persone diversamente abili sono maestre nell’insegnare ai cd. normodotati cosa è l’amore vero, quello che arricchisce chi lo dà, quello che basta a se stesso, quello che dà un senso alla vita e apre la porta alla vera felicità.
Celebrare, quindi, la Giornata mondiale della sindrome di Down a noi di Pro Vita & Famiglia non basta. L'inclusione, l’accoglienza e il rispetto per le persone “imperfette” deve durare 365 giorni l'anno, non solo il 21 marzo.
L'immagine in copertina è una vecchia foto di Anna Marangoni, gentilmente concessaci dal papà che gestisce la sua bellissima pagina Facebook: Buone notizie secondo Anna
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