Niente cure particolari, addirittura niente respiratori per i disabili, pare, in numerosi Stati americani, dove l’emergenza Coronavirus è arrivata dopo rispetto all’Italia, ma sta già mietendo oltre 1.000 vittime. Nello specifico, sarebbero già più di 10 gli Stati Usa che, per fronteggiare l’epidemia, starebbero letteralmente scegliendo chi salvare. Dal Tennessee - dove alle persone affette da atrofia muscolare spinale sarà preclusa la terapia intensiva - al Minnesota – dove il diritto al respiratore sarà negato agli affetti da cirrosi epatica, malattie polmonari e scompensi cardiaci – si va insomma materializzando uno scenario da incubo.
E non finisce qui, perché anche nello Stato di Washington, il primo a essere colpito dal coronavirus, così come in quelli di New York, Alabama, Tennessee, Utah, Minnesota, Colorado e Oregon - secondo quanto ricostruito in un dettagliato articolo di Elena Molinari apparso su Avvenire – al personale, prima di intervenire, sarebbe chiesto di valutare con attenzione il livello di abilità fisica e intellettiva generale del paziente. Come a dire: facci vedere bene se sei abbastanza sano, che poi valutiamo noi se curarti o meno. Inquietante, evidentemente.
Ora, questo tipo di notizia – che non si discosta molto, per gravità, da quella riguardante le linee guida diffuse il 6 marzo, in Italia, da Siaarti, acronimo che sta per Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva – impone a noi tutti una riflessione, che si può articolare su più livelli. Essi sono essenzialmente tre.
Il primo riguarda il riaffiorare di una cultura sostanzialmente eugenetica che, negli Stati Uniti, non è esattamente una novità, anzi. Anche se non molti lo sanno, infatti, l’eugenetica di Stato non fu affatto una invenzione nazista, bensì statunitense. La prima vera e propria legislazione in materia, infatti, fu emanata dallo Stato del Connecticut addirittura nel 1896; ma, soprattutto, è curioso notare come quando la Germania di Hitler, nel ’33, adottò leggi che autorizzavano la sterilizzazione e l’aborto obbligatorio, fosse stata già anticipata addirittura da 28 Stati americani.
Il Covid-19, insomma, non starebbe facendo altro che far riemergere fantasmi del passato. Un secondo livello di riflessione concerne il fatto che l’attuale discriminazione nelle cure tra disabili e «sani» attuata negli Usa non sia affatto un caso, essendo chiara figlia di premesse ideologiche gettate già dalla cultura eutanasica. Non è un caso che, in America, tra i più fieri oppositori del «diritto di morire» vi sia proprio una disabile: Anita Cameron, cinquantenne di colore, colpita da disabilità multiple (sclerosi multipla, atassia cerebellare congenita e diabete) ed appartenente alla comunità Lgbt, quindi non sospettabile di simpatie conservatrici.
Una terza e ultima considerazione riguarda invece il solo rimedio possibile alla nuova emergente eugenetica, ossia la riscoperta del concetto di persona umana. Infatti - per quanto certamente condizioni emergenziali possano, talvolta, metter gli ospedali di tutto il mondo nell’atroce dilemma sul chi curare prima - è doveroso per ognuno, oggi, guardare oltre l’antropologia funzionalista e in sostanza nichilista prevalente per riaffermare che tutti, in quanto esseri umani, siamo provvisti di una dignità a noi connaturata, a prescindere dalla nostra e età e dalle nostre condizioni di salute. Che sono tutte variabili che non intaccano né possono intaccare il nostro diritto ad essere riconosciuti come persone e ad esser, come tali, accolti e curati.
di Giuliano Guzzo