«La tragica situazione della piccola Indi Gregory spezza il cuore, soprattutto pensando all’affetto dei suoi genitori, Claire e Dean, dei suoi fratelli e della sua famiglia». Queste le parole della Conferenza episcopale inglese sul caso della neonata di 8 mesi affetta da una malattia rara del Dna mitocondriale, alla quale i medici del Queen’s Medical Centre di Nottingham vogliono da settimane interrompere i supporti vitali.
Il vescovo inglese responsabile per il settore Vita John Sherrington e il vescovo Patrick McKinney, che guida la diocesi di Nottingham dove la bambina vive, riconoscono che «chi cura Indi, all’ospedale Queen’s Medical di Nottingham, pensa di aver fatto tutto il possibile per aiutarla. Tuttavia, come persone di speranza, riconosciamo che i suoi genitori vogliono esplorare ogni possibilità di allungare la sua vita, anche se questo non comporta nessuna certezza che le cure avranno successo e ciò vorrebbe dire il trasferimento di Indi all’Ospedale Bambino Gesù di Roma. Genitori e medici cercano di fare il migliore interesse di Indi». I presuli aggiungo che «quando le terapie diventano sproporzionate e non portano benefici, bisogna garantire a un malato adeguate cure palliative. La sospensione di cure diventate eccessive – rilevano – non giustifica la sospensione di terapie essenziali come idratazione, nutrizione, adeguato sostegno per la respirazione, termoregolazione e terapia del dolore purché il malato ne tragga beneficio. Insieme all’assistenza spirituale per una persona che incontrerà presto Dio, la Chiesa considera queste cure come necessarie per accompagnare questi piccoli pazienti verso una morte naturale che sia dignitosa».
«Non dovremmo mai agire - concludono i vescovi - con l’intenzione deliberata di far terminare una vita umana né rimuovere cure di base per ottenere la morte. Tuttavia, a volte, dobbiamo riconoscere i limiti di quello che può essere fatto, pur agendo con umanità al servizio del malato fino a che arrivi una morte naturale».
Fonte: RomaSette