La tentazione del serpente davanti all’Albero della Vita, «Se ne mangiate, diventerete come Lui» (Gn.2), è alla radice del delirio di onnipotenza dell’uomo che vorrebbe essere come Dio, del peccato originale: quello che i Greci chiamavano hybris è la radice di tutti i mali, è alla base delle ideologie scientiste che usano il progresso non per il Bene ma per varcare i limiti del lecito (si fa quel che si può fare, non quello che si deve fare), è in nuce quella che san Giovanni Paolo II chiamava la “cultura della morte” che nelle sue mille sfaccettature punta alla distruzione della creatura prediletta dal Signore, l’essere umano.
La legalizzazione dell’aborto (i primi furono i Sovietici, ai tempi di Lenin, nel 1920) è certamente la più grande conquista di questo nichilismo. Si calcola che abbia procurato la morte di almeno di un miliardo di bambini (senza contare le ferite profonde e spesso inguaribili nel corpo, nella psiche e nell’anima delle madri). Prima dell’aborto è stato sdoganato il “sesso libero” e il divorzio, per la distruzione della famiglia che è il primo e fondamentale corpo intermedio necessario alla crescita equilibrata della persona.
E poi la fecondazione artificiale, l’eutanasia, la droga… Per non dire delle tante aberrazioni di cui si parla (fin troppo) e che pian piano si fanno strada nell’ambito della “normalità”, dall’utero in affitto, al “matrimonio” tra persone dello stesso sesso, al “poliamore”, alla pedofilia.
Ogni volta che si promuove lo sdoganamento di qualche turpitudine si invoca un principio che ormai è stato elevato a diritto fondamentale dell’uomo: l’autodeterminazione.
È in nome di una falsa idea di libertà che si vorrebbe far rientrare nel novero dei diritti umani ogni pretesa (insana), ogni desiderio, ogni capriccio. L’esempio più eclatante: a prescindere dalla realtà, a prescindere dal sesso che è scritto nel Dna di ogni cellula, ognuno di noi ha il “diritto” di essere considerato maschio o femmina a secondo di “come si sente”.
È assurdo (è autodistruttivo) pretendere una libertà senza confini.
Anche da un punto di vista giuridico, se guardiamo per esempio il testo della Costituzione italiana (che da alcuni viene citata come un oracolo solo quando conviene), il primo comma dell’art.13 dice che «la libertà personale è inviolabile». Non dice che è “illimitata”; anzi: non sta riconoscendo direttamente il diritto di essere liberi, ma piuttosto sta imponendo il dovere di rispettare la libertà altrui (che è - indirettamente - garanzia della tutela del diritto); cioè sta imponendo un limite alla libertà dell’individuo.
La stessa Costituzione, sempre per fare qualche esempio, sancisce che il lavoratore ha diritto alla retribuzione e al riposo. Ma specifica che questi diritti sono “irrinunciabili”, indisponibili. Perché?
Per la tutela dei più deboli: sono i soggetti socialmente più deboli, infatti, quelli che potrebbero essere sostanzialmente costretti a rinunciare a un trattamento equo, pur di lavorare. E sappiamo bene che la costrizione sostanziale potrebbe apparire formalmente un esercizio dell’autonomia contrattuale.
Per lo stesso motivo la legge stessa pone limiti alla nostra libertà: anzitutto crea una sfera di diritti appunto “indisponibili” (il diritto alla vita sopra tutti), e poi pone una serie di obblighi: si pensi all’obbligo del casco o delle cinture di sicurezza.
Perciò, l’idolatria dell’autodeterminazione serve in sostanza solo a instaurare la legge della giungla: la donna forte, non bisognosa, mai si prostitutirà, mai darà l’utero in affitto: la legalizzazione di queste pratiche serve solo a favorire lo sfruttamento dei più deboli. Il malato o il disabile in un momento di depressione “sceglie liberamente” l’eutanasia? (che tra l’altro è l’unica alternativa che gli si prospetta di fronte alla minaccia di una lunga e atroce sofferenza). La persona disorientata, fragile e sola diventa schiava del sesso promiscuo e contro natura (con l’illusione di essere libera), fino al limite estremo della “scelta” di “cambiare sesso” (ma gli psichiatri onesti sanno che la disforia di genere nasconde sempre una patologia psichiatrica); la madre disperata, impaurita e sola “sceglie” l’aborto, ingannata dalla propaganda che le fa credere che eliminando il suo bambino eliminerà i problemi socio economici che la affliggono.
Riflettiamoci bene: queste non sono affatto scelte e non sono affatto libere. Alla base c’è un minimo comune denominatore: una grande e profonda solitudine. La solitudine dell’individuo che non è più “persona” (soggetto di relazione). Senza famiglia, senza legami profondi e duraturi (che vengono presentati come limiti all’autodeterminazione), senza Dio. Ontologicamente siamo esseri limitati. Abbiamo bisogno degli altri e dell’Altro. Negarlo vuol dire negare la natura umana. Negarlo, con l’inganno dell’autodeterminazione, vuol dire creare individui soli, fragili, infelici, manipolabili e ottimi consumatori. Basti pensare che dietro la contraccezione e l’aborto, il “cambiamento” del sesso, la fecondazione artificiale, all’eutanasia c’è un business miliardario (per esempio, il giro d’affari mondiale delle cliniche per la fertilità si aggira intorno ai 31 miliardi di dollari!).
Bisogna che tutti gli uomini di buona volontà - credenti e non credenti - prendano coscienza di questo. Bisogna che tutti cominciamo a interessarci di bioetica! Ad alcuni sembra una lotta impari, contro un nemico troppo grande e potente (anche mediaticamente): il disfattismo è un grave peccato, soprattutto per i Cristiani. In principio abbiamo citato la Genesi. Nello stesso libro troviamo la conclusione: il serpente ci insidia il calcagno, ma Qualcuno gli ha schiacciato già la testa.