Si celebra oggi, 10 dicembre, la Giornata Mondiale dei Diritti Umani. Già in passato, a tal proposito, abbiamo ricordato come tra i diritti umani rientrano anche e soprattutto quelli alla vita, alla morte naturale, così come - per le donne - a non essere sfruttate con nuove forme di schiavitù come l'utero in affitto.
Per quanto riguarda il diritto umano più inviolabile e sacro, quello alla vita, abbiamo già ricordato - e vogliamo farlo oggi - uno studio condotto dall’European Centre for Law and Justice (ECLJ) dal titolo “L’aborto e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, pubblicato nella rivista irlandese Journal of Legal Studies. Sulla base di un’attenta analisi della “coerenza della giurisprudenza” della Corte europea dei diritti dell’uomo in varie sentenze, lo studio giunge alla conclusione che il cosiddetto diritto all’aborto – vale a dire “l’aborto su richiesta” – viola la Convenzione.
Lo studio di 52 pagine dell’ ECLJ presenta un elenco accuratamente compilato delle sentenze in materia di aborto della Corte europea dei diritti dell’uomo e arriva a varie conclusioni molto rilevanti. Queste includono i seguenti due punti importanti.
In primo luogo, la Convenzione non crea un diritto all’aborto
Lo studio indica che la Corte europea dei diritti dell’uomo non ha mai escluso la vita pre-natale dal suo campo di applicazione, e che la Convenzione europea non contiene e non crea un diritto all’aborto. Al contrario, l’aborto su richiesta viola la Convenzione perché danneggia gli interessi e i diritti delle persone, come garantiti dalla Convenzione senza fornire alcuna giustificazione proporzionale.
Secondo lo studio, “La gente può pensare che l’aborto su richiesta sia accettabile ai sensi della Convenzione, perché la Convenzione non si oppone all’aborto quando vi sono motivi di salute e di vita. Tuttavia, solo gli aborti per motivi di salute o in caso di pericolo di vita possono essere giustificati come mezzi per perseguire un legittimo interesse garantito dalla Convenzione, mentre l’aborto su richiesta non rientra nella stessa categoria” (p. 189 ).
Lo studio afferma inoltre che “nella maggior parte delle legislazioni nazionali europee, l’aborto è una deroga alla tutela accordata in linea di principio alla vita del nascituro” (p. 146 ). Anche “se lo Stato permette l’aborto nella propria legislazione nazionale, rimane soggetto, ai sensi della Convenzione, all’obbligo di proteggere e rispettare i diritti e gli interessi concorrenti” (p. 146 ). Più semplicemente, gli Stati membri dell’UE non sono liberi di determinare arbitrariamente lo status giuridico dell’aborto o la sua disponibilità, e devono prima prendere in considerazione tutti i diversi interessi e diritti legittimi coinvolti ( p. 144 ).
Come sottolinea il dottor Grégor Puppinck, autore dello studio, “per lo meno, dovrebbe essere ampiamente accettato che gli Stati membri hanno il dovere ai sensi della Convenzione di vietare aborti dolorosi, tardivi o forzati” (p. 144 ).
In secondo luogo, l’aborto su richiesta non ha alcun titolo giuridico e distrugge il bambino non ancora nato senza un motivo proporzionato
Da quando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è stata redatta, l’aborto era considerato una diretta violazione del diritto alla vita del bambino non ancora nato ed era ampiamente criminalizzato. Era possibile praticare l’aborto solo per salvare la vita di una madre. Oggi, tuttavia, l’aborto è legale da molti punti di vista – e in alcuni paesi è consentito fino alla nascita.
Ma secondo lo studio dell’ECLJ, nei casi di aborto su richiesta – cioè per aborti motivati dalla volontà della madre e non da motivi di salute – la Corte non ha mai accettato che l’autonomia di una donna per sé possa bastare a giustificare un aborto sotto i termini della convenzione. Inoltre, la Corte ha esplicitamente escluso tali motivi quando ha dichiarato che l’articolo 8 della Convenzione – che tutela l’autonomia individuale personale – non contiene o implica alcun diritto all’aborto.
Inoltre, va sottolineato che l’aborto su richiesta distrugge il bambino non ancora nato, senza un motivo proporzionato. Come si afferma nella conclusione di questo studio, gli argomenti giuridici a sostegno della convenzionalità di effettuare un aborto su richiesta sono molto deboli o addirittura inesistenti.
Il dibattito sull’aborto: se il bambino non ancora nato è una persona merita una tutela giuridica
Dopo più di 30 anni di aborto legale nella maggior parte dei paesi europei, il dibattito rimane intenso. Alcuni Paesi che non hanno ancora legalizzato l’aborto hanno sofferto di pressioni costanti da parte di gruppi nazionali e internazionali, così come la pressione dal Consiglio d’Europa. I risultati di tale travolgente e implacabile campagna pro-aborto sono evidenziati in una recente pubblicazione dal rinomato Guttmacher Institute, secondo il quale “in Europa il 30% delle gravidanze termina con un aborto” (p. 1).
Mentre il dibattito sulla questione continua ad echeggiare in tutta Europa e nel mondo, la questione principale rimane: se il bambino non ancora nato è una “persona” come inteso dall’articolo 2 della Convenzione. La Corte ha mantenuto aperta la questione al fine di consentire agli stessi Stati membri di rispondere – e determinare quando inizia la vita. L’inizio di una vita del genere, naturalmente, significa l’inizio della tutela giuridica ai sensi della Convenzione.
Un’alternativa alle politiche abortiste
Il chiaro e completo studio dell’ECLJ mette in chiaro tutti i punti di cui sopra per quanto riguarda l’assenza di coerenza giuridica di un presunto diritto all’aborto. Ma propone anche un modo alternativo di considerare la pratica dell’aborto su richiesta in Europa: il problema è rappresentato dal fallimento sistematico da parte degli Stati membri dell’UE a rispettare i propri obblighi in ambito socio-economico, dal momento che “il 75% degli aborti sono causati da ragioni economiche” (p. 190 ) .
In altre parole, una “donna che è costretta ad abortire perché ha difficoltà finanziarie, problemi di alloggio, o perché il suo partner è violento , è una vittima (...) della violazione da parte dello Stato dei suoi obblighi socio-economici” (p. 191). Lo studio dell’ECLJ afferma quindi che lo “Stato deve informare la madre dei modi esistenti di ottenere l’aiuto di cui ha bisogno, di natura economica, materiale e morale (come nel caso di abitazioni per le madri incinte in difficoltà, accessi agevolati all’educazione, possibilità di dare il bambino in adozione, aiuti di ONG che offrono cibo a mamme e bambini, ecc)” (p. 191).
Per lo Stato, il risultato atteso di tutto questo sarebbe di “garantire alla donna il diritto a non abortire” (p. 192). Tale alternativa potrebbe essere difficile e non realizzabile nel breve termine, ma è l’unica che concilia un solido ragionamento giuridico con la salvaguardia dei diritti fondamentali di ogni essere secondo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo umano – mentre, al tempo stesso, offre una risposta alla tragedia rappresentata dallo spaventoso numero di aborti negli Stati membri del Consiglio d’Europa.
Fonte: European Dignity Watch