La World Youth Alliance (WYA) nacque nel 1999, quando la 21enne Anna Halpine difese la dignità umana durante una conferenza alle Nazioni Unite. Da allora, la WYA è cresciuta fino a includere decine di migliaia di membri in tutto il mondo con sei uffici regionali, tutti dedicati alla difesa della dignità della persona attraverso l'educazione e la cultura.
Durante la partecipazione alla Conferenza sulla popolazione e lo sviluppo del 1999, Anna Halpine vide la dichiarazione di un gruppo di trentadue giovani. Essi sostenevano di rappresentare i tre i miliardi di giovani nel mondo e chiedevano che fossero messe in atto le seguenti politiche: l'aborto come diritto umano, i diritti sessuali per i bambini e la cancellazione dei diritti dei genitori.
La reazione della fondatrice di WYA fu coraggiosa e chiara: «Lo sviluppo dell'intera persona include le dimensioni morale, spirituale, emotiva, intellettuale e fisica. Per favore, non riducete tutto alle mere facoltà sessuali. Le nostre principali preoccupazioni sono le questioni relative all'istruzione, alla famiglia, all'occupazione e allo sviluppo».
Con la dignità umana al centro dell'attenzione, Anna e alcuni altri giovani presenti diedero vita a WYA e le fu chiesto dalle delegazioni di diversi Paesi di mantenere una presenza permanente alle Nazioni Unite e di lavorare con i giovani dei Paesi in via di sviluppo.
Ora questa straordinaria organizzazione che si è diffusa in decine di Paesi del mondo e vede la partecipazione di migliaia di giovani di ogni nazione, ha pubblicato uno straordinario documento in cui si promuovono le cure palliative e si stigmatizza duramente la diffusione dell’eutanasia.
«Non esiste un "diritto a morire" nel diritto internazionale». Tale diritto non è menzionato in alcun trattato. Alcuni hanno sostenuto che il diritto alla vita (ben consolidato) include un diritto a scegliere la modalità della propria morte, ma la maggior parte dei tribunali in ogni parte del mondo ha respinto questo argomento, richiamando invece l’interesse dello Stato nella protezione della vita. Il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha pubblicato un commento non vincolante sul diritto alla vita che suggerisce infatti che, dove le pratiche sono legali, si dovrebbero avere delle garanzie. Solo Svizzera, Paesi Bassi, Colombia, Belgio, Lussemburgo, Canada, otto stati degli Usa e uno stato australiano consentono una o entrambe le pratiche. Questo è molto al di sotto del «livello di pratica necessario» per stabilire un diritto consuetudinario a morire o aiutare a morire.
I sostenitori della PAS (ovvero il suicidio assistito) e dell'eutanasia sostengono spesso di promuovere la "morte con dignità" per dare a una persona la possibilità di scegliere il modo di morire (in autonomia) e per evitare la sofferenza. Questo suggerirebbe che può esserci morte senza dignità, ma non è vero, perché nessuno perde la propria dignità a causa della sofferenza o della dipendenza dagli altri.
Suicidio assistito ed eutanasia, come suggerisce il documento, non sono atti solitari. I medici devono agire per fornire o amministrare la letale sostanza e la società dovrebbe accettare queste azioni. L'autonomia individuale è sempre soggetta a limitazioni per proteggere i beni fondamentali della società, compresa la vita umana.
Dai sostenitori di suicidio assistito ed eutanasia, queste pratiche sono rappresentate come azioni compassionevoli, ma in realtà abbandonano i vulnerabili alla loro sofferenza, piuttosto che accompagnarli in essa. Il desiderio di morte accelerata è associato a dolore, depressione e affaticamento, che possono essere tutti disagi e sofferenze “trattate” o alleviate. Voler porre fine alla sofferenza non rende etica alcuna azione; porre fine intenzionalmente alla vita umana, anche per ragioni compassionevoli, è sbagliato. Il suicidio assistito dal medico e l'eutanasia comportano gravi rischi per i soggetti vulnerabili e la società.
Poi vengono evidenziati evidenti Rischi per le persone con disabilità: le persone con disabilità, infatti, hanno già difficoltà a ricevere buone cure mediche e cure preventive, anche a causa di ostacoli finanziari e atteggiamenti discriminatori. Suicidio assistito ed eutanasia promuovono l'idea che è meglio morire che vivere con una disabilità. Molti gruppi per i diritti delle persone con disabilità si oppongono alla PAS e all'eutanasia poiché sono una vera e propria minaccia alla loro vita.
Un altro rischio è quello della “coercizione”. Il suicidio assistito può creare il dovere di morire per le persone vulnerabili. Accessibilità, assistenza ai dispositivi, alle cure mediche, possono avere costi esorbitanti e far sentire le persone come un peso.
Le pratiche eutanasiche, inoltre, creano una distorsione della relazione medico-paziente: il suicidio assistito e l'eutanasia violano il principio medico di base che la vita dovrebbe essere preservata e minano la sicurezza di un paziente che il suo benessere è sempre ricercato. Queste pratiche possono infatti violare il diritto alla coscienza dei medici in quanto potrebbero essere tenuti a compiere tali atti contro la loro volontà.
Il tutto, infine, si conclude con quelle che finisco per essere delle limitazioni illusorie. Giurisdizioni che inizialmente consentivano il suicidio assistito solo per i malati terminali, infatti, sono state spesso interpretate in modo approssimativo, e molti hanno modificato la legge per consentire il suicidio assistito e l’eutanasia per condizioni non terminali o curabili, inclusa la malattia mentale, e anche per i bambini.
Il documento del WYA si concentra inoltre sulle cure palliative, che sono fondamentali nelle cure di fine vita in quanto cercano di alleviare il dolore e la sofferenza mentre forniscono un trattamento olistico senza affrettare o rimandare la morte. Garantire questo per ogni paziente è conforme alla dignità umana e può ridurre la probabilità di un desiderio di PAS o di eutanasia. Molto importante, infine, è un’adeguata assistenza psicosociale: i pazienti malati terminali con depressione sperimentano disagio psicologico rafforzato dal dolore fisico e quindi è probabile che prendano in considerazione la morte affrettata. Pertanto, i piani di trattamento devono affrontare anche il benessere psicosociale. Il trattamento della salute mentale e gli interventi per ripristinare un senso di significato e scopo hanno avuto risultati promettenti tra questi pazienti.
Qui il documento originale in inglese: https://www.wya.net/publications/white-papers/
di Luca Volontè