07/09/2024 di Giuliano Guzzo

Venezia. Almodovar vince il Leone d’Oro col film-propaganda sull’Eutanasia

La propaganda vince. L'ideologia vince. In particolare l'ideologia eutanasica che vuole veicolare la morte di Stato. È il risultato del politicamente corretto - forse proprio per questo tristemente e ideologicamente scontato - che ha portato il film di Pedro Almodóvar, "La Stanza Accanto", a vincere il Leone d'Oro all’81esima Mostra del Cinema di Venezia.

Ebbene sì, perché lo stesso regista spagnolo, qualche giorno fa aveva - altrettanto ideologicamente - dichiarato: «Il mio film è dalla parte dell’eutanasia, dobbiamo essere padroni della nostra esistenza». Parole prontamente riprese da Repubblica e, manco a dirlo, la pellicola pro “dolce morte” è stata subito salutata da molti media come un capolavoro; il governatore del Veneto Luca Zaia – che pur di portare avanti un ddl sul suicidio assistito, lo scorso gennaio, è finito in minoranza in un Consiglio regionale dove la sua maggioranza pareva blindata - è corso a definirlo addirittura «strepitoso».

Prevedibile anche il plauso del mondo radicale, con una dichiarazione di Filomena Gallo e Marco Cappato, che si sono detti «grati al regista Pedro Almodóvar per avere, con la propria arte e le proprie dichiarazioni, richiamato l’urgenza della legalizzazione dell’eutanasia», pratica che a loro dire meriterebbe perfino l’inserimento, come l’aborto, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.

Ma torniamo al film “La stanza accanto”. Siamo davvero in presenza di un capolavoro, come lasciano intendere Zaia ed altri? Chissà. Per dirlo bisognerebbe vederlo – arriverà in Italia, nei cinema, a dicembre - ma sicuramente – questo si può dirlo - il contenuto non pare particolarmente originale. Da quanto infatti è dato capire, il nuovo film di Almodóvar – interpretato da Julianne Moore e Tilda Swinton, attrici che per la gran parte del film sono sole in scena – ha una trama molto semplice. Racconta di una reporter di guerra malata terminale di tumore (Tilda Swinton) che chiede all’amica Ingrid (Julianne Moore) di assisterla fino a che non decide di chiedere la “dolce morte”; un’istanza che però metterà questa seconda amica dinnanzi a non banali dilemmi morali e, soprattutto, a grane giudiziarie. Quest’ultimo punto è centrale, dato che Almodóvar ha espressamente concepito il film come una denuncia contro gli Stati che ancora “osano” non consentire l’eutanasia.

Sì, perché siccome la Spagna ha legalizzato la “dolce morte” nel 2021, il regista iberico è dell’avviso che pure gli altri Paesi dovrebbero affrettarsi e seguirne l’esempio; al punto che perfino la decisione di ambientare “La stanza accanto” negli Stati Uniti – a proposito di fini propagandistici - è legata proprio alla volontà del cineasta di puntare il dito contro le leggi del paese che invece non permettono di porre fine volontariamente alle sofferenze. «Dovrebbe esserci la possibilità di praticare l’eutanasia in tutto il mondo», ha pure dichiarato, Almodóvar, secondo cui – come si diceva in apertura - «dobbiamo essere padroni della nostra esistenza».

Ora, a questo punto pare doveroso fare delle precisazioni. La prima è che un film pro eutanasia, con tutto il rispetto per la Mostra del Cinema di Venezia, non è affatto una novità. Anzi, di pellicole simili ne esistono già tantissime: da “Mare Dentro” (2004) a “Million Dollar Baby” (2004), da “Le invasioni barbariche” (2003) a “È andato tutto bene” (2021) – e son praticamente tutte favorevoli al presunto “diritto di morire”. In secondo luogo, venendo alle parole del regista spagnolo a detta del quale «dobbiamo essere padroni della nostra esistenza», va detto come questa considerazione risulta non solo contraddetta, per chi ha fede, dal fatto che siamo beneficiari dell’esistenza ma non padroni, ma anche dalla ragione; soprattutto quando si parla di “dolce morte”.

Non infatti la teoria bensì l’esperienza, peraltro quella internazionale, racconta infatti come là dove l’eutanasia viene legalizzata nel giro di pochi anni iniziano ad esserci indebite pressioni sulle persone malate o disabili affinché – ci scusiamo per l’espressione cruda – levino il disturbo. Esagerazioni? Purtroppo no. Basti vedere – visto che ad Almodóvar sembra interessare ciò che accade dall’altra parte dell’Oceano - quanto accaduto in Canada dove, all’atleta paralimpica Christine Gauthier, che ha osato protestare per i ritardi nell’installazione in casa sua di un montascale, è stato risposto che tutto quello che le poteva essere offerto è la morte assistita; o si prenda la vicenda di Roger Foley, affetto da atassia cerebellare, serio disturbo neurovegetativo, il quale non potendosi permettere i (parecchi) soldi per le proprie cure si è sentito consigliare dal personale ospedaliero (da lui registrato con degli audio) di togliersi dalle scatole tramite l’eutanasia.

Storie simili naturalmente sono purtroppo avvenute anche in Olanda e in Belgio, dove non sono rari perfino i casi di medici pro “dolce morte” che, dopo un po’, lasciano indignati i loro ruoli, stanchi di assistere ad abusi sanitari su pazienti che vengono eliminati anche al di là della loro volontà. Insomma, per quanto sia soprattutto per un cristiano già molto discutibile che «dobbiamo essere padroni della nostra esistenza», è certo che, con la mentalità eutanasica, si instaura un regime di colpevolizzazione della persona fragile che la spoglia della sua dignità, lasciandola alla mercé di un sistema sanitario mortifero. Altro che libertà di scelta, cari Pedro Almodóvar, Luca Zaia e Marco Cappato.

 

 

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