Sono trascorsi solamente pochi giorni dalla sentenza della Corte Costituzionale con cui, pur non dichiarando totalmente incostituzionale l’articolo 580 del Codice penale, si è spianata (sia pure «a certe condizioni») la strada al suicidio assistito, ma un dato è già chiaro: la maggioranza giallorossa vacilla, non è unita sul tema. Anzi, possiamo tranquillamente dire che il Movimento 5 Stelle di Di Maio e il Pd di Zingaretti rischiano (anche su questo) di finire ai ferri corti. Per più motivi.
Tanto per cominciare perché esistono – pur, va detto, in una comune ottica permissiva – idee diverse sulla regolamentazione dell’eutanasia. Basti pensare che, tra i vari ddl sul fine vita c’è anche quello di Andrea Marcucci, che però prima dei pentastellati non convince lo stesso mondo radicale dato che continua a ritenere reato, sia pure diminuendone le pene, l’aiuto al suicidio.
Il fatto che si sia d’accordo sulla necessità di una regolamentazione del fine vita – necessità ribadita dalla stessa Consulta, che comunque ha già delimitato in modo chiaro, a giudizio di molti eccessivo, il raggio d’azione del Legislatore – non implica quindi che vi sia convergenza politica sulle modalità con cui passare dalle parole ai fatti. Il che lascia immaginare attriti di non poco conto in seno ad una maggioranza che comunque, a dire il vero, oggi accanto a quello del Pd e del M5S vede l’appoggio imprescindibile del gruppo parlamentare di Italia Viva di Matteo Renzi.
Ma soprattutto, in aggiunta a questo c’è un dato che non può essere non considerato e che, a ben vedere, è il più importante in assoluto, ossia la posizione in materia di fine vita del premier Giuseppe Conte. L’ex «avvocato del popolo», come si era definito Conte agli esordi della defunta esperienza politica gialloverde, ha infatti rilasciato in questi giorni dichiarazioni che tutto sono fuorché radicaleggianti.
«La materia», sono state le parole del premier, «sarebbe opportuno che si lasciasse al dibattito in Parlamento, che ci fosse un confronto serio e sereno». «Da cattolico e da giurista», ha inoltre aggiunto Conte, «ritengo non ci siano dubbi sul fatto che l’uomo abbia il diritto alla vita. Esiste il diritto alla determinazione, ma pensare di scegliere di essere condotto alla morte da personale qualificato, questo genera qualche dubbio».
Ora, non serve esser fini studiosi di bioetica né esperti analisti politici per cogliere in queste parole di Giuseppe Conte una cautela che mal si concilia con le posizioni di fatto radicali dei grillini in materia di fine vita e con quelle, a prima vista più caute, del Partito Democratico. Come si potrà dunque trovare una sintesi tra la posizione di Conte, quanto meno prudente, quella intermedia del Pd e quella molto più permissiva del Movimento 5 Stelle?
Politicamente, si tratta di un rebus. Il dato grave è che tutto ciò, comunque vada a finire, si gioca sulla pelle di decine di migliaia di malati e disabili italiani che tutto chiedono in questo momento fuorché di poter morire. Lo stesso sistema sanitario nazionale, come denunciava l’insospettabile Repubblica il 23 giugno 2019, soffre una cronica assenza di medici che non può che non compromettere la qualità assistenziale che offrono i nostri ospedali. Ne consegue come un Parlamento pro “dolce morte” e diviso sia, alla fine, quanto di più lontano dalle esigenze dei cittadini e delle categorie sociali più deboli. Un motivo in più per spingere i pro life a darsi da fare nella diffusione di una sana cultura della vita.
Di Giuliano Guzzo