Ines è una ragazza francese di 14 anni cui è stato diagnosticato il PSV, persistente stato vegetativo dopo un arresto cardiaco avvenuto circa sei mesi fa. Anche a lei, come a Charlie, vogliono staccare l’apparecchio che le consente di respirare.
Anche lei, come Charlie, non è in cura con terapie particolari che la tengono in vita con accanimento terapeutico: non ci sono “cure da sospendere”, insomma. Ha bisogno d’aiuto per respirare: se gli staccano il ventilatore morirà velocemente.
Come per Charlie, i medici e i giudici sono alleati nel proposito di morte contro la volontà dei genitori.
Anche in Italia, per l’articolo 3 della legge sul biotestamento, in caso di disaccordo fra il legale del minore e il medico ci si rivolge al giudice.
Già un mese l’arresto cardiaco dopo l’ospedale di Nancy, dove Ines è ricoverata – come il GOSH di Charlie – ha stabilito che far respirare e nutrire Ines era un’ “ostinazione irragionevole”: stessa espressione usata dalla nostra legge sul biotestamento (DAT).
Eugenia Roccella sull’Occidentale ci spiega che il Consiglio di stato ha detto che la decisione dei medici è in linea con la legge Leonetti e risponde «a esigenze fissate dalla legge e non è quindi in contrasto con il rispetto di una libertà fondamentale dell’individuo».
Prosegue Roccella: «I genitori, di fede musulmana, si oppongono con decisione: “Ines è nostra figlia e non figlia dei medici” dicono, chiedendo che venga rispettata la potestà genitoriale. E la madre ha dichiarato: “Qui non ci sono certezze. Secondo me Ines è cosciente in alcuni momenti. Si sta autorizzando un crimine”. Ma il criterio adoperato è identico a quello del caso Charlie Gard, cioè il “miglior interesse”: in nome del preteso “miglior interesse” dei minori, che sarebbe quello di morire, si scavalca la responsabilità dei genitori, soggetti troppo intimamente coinvolti per prendere, secondo i medici e i magistrati, decisioni serene e obiettive».
Tra l’altro dichiarare irreversibile una situazione come quella di Ines, così giovane, e dopo così poco tempo ci sembra un azzardo: è troppo facile sbagliare la diagnosi e di risvegli dal PSV diagnosticato come irreversibile ce ne sono stati a bizzeffe... Uno proprio in Francia, nel settembre scorso.
Il fatto è che, in leggi come questa francese e quella italiana sul biotestamento, la cultura della morte prevale sul “favor vitae” e in nome dell’autodeterminazione i giudici usano dette norme per togliere di mezzo proprio chi non può esprimere la sua autodeterminazione. Infatti, sottolinea la Roccella che, a differenza di Charlie, che avrebbe comunque vissuto ancora poco, «Ines non è in fine vita. Soffre di una malattia autoimmune, che però non è letale. La sua prognosi non è la morte a breve termine. La decisione di interrompere la ventilazione, cioè di farla morire, si basa sul fatto che le lesioni cerebrali sono, secondo i medici, irreversibili (e sull’irreversibilità definitiva dello stato vegetativo di una ragazzina di 14 anni, stabilita dai medici appena un mese dopo l’arresto cardiocircolatorio, sia concesso di esprimere qualche dubbio anche a chi non ne ha visionato la cartella clinica). Ma Ines non è nel cosiddetto stato di “morte cerebrale”. E’ una gravissima disabile, in stato vegetativo. E per questo è considerata una non-persona, qualcuno che non vale la pena di assistere e curare, una candidata (sempre nel suo miglior interesse, per carità) alla morte.
L’abbiamo detto altre volte, e lo ripetiamo: la pessima legge appena approvata sul biotestamento, in Italia, potrebbe tranquillamente portare a casi come questo. Tra l’altro, l’espressione “ostinazione irragionevole”, presente nell’art.2 della legge italiana (“il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure”) è un clamoroso copia e incolla dalla legge francese».
Se la morte diventa un diritto da “garantire” siamo tutti in pericolo: come Charlie, se i giudici decidono che il nostro “miglior interesse” è morire, non si salva più nessuno. Grazie al Parlamento che ha approvato la legge sulle DAT.
Redazione
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto