09/10/2019

Irlanda del Nord: cade una delle ultime roccaforti antiabortiste

L’Irlanda del Nord era rimasta l’ultima oasi pro life nel problematico scenario delle isole britanniche. Tutto ciò fino alla sentenza della Corte Suprema di Belfast, che ha imposto il riallineamento con Londra della normativa sull’aborto.

Mentre in Inghilterra, Scozia e Galles, dal 1967, vige l’Abortion Act, che sancisce la possibilità di abortire prima della 28esima settimana (limite, poi abbassato alla 24esima), in Irlanda del Nord, una donna può interrompere la gravidanza soltanto in caso di pericolo di vita per sé o in caso di rischio per la sua salute fisica o mentale; non è consentito, invece, abortire, in caso di stupro e incesto o se ci sono gravi malformazioni del feto.

La Corte Suprema Nordirlandese ha dato ragione a Sarah Ewart, che, nel 2013, all’età di 29 anni, se n’era andata ad abortire a Londra, avendo fatto i conti con il rifiuto dei medici, i quali, comunque, le avevano confermato che il bambino che portava in grembo non sarebbe sopravvissuto fuori dall’utero.

La svolta sull’aborto in Irlanda del Nord è iniziata con l’Executive Formation, la legge approvata lo scorso luglio dal Parlamento di Westminster, con la quale viene vengono estesi una serie di “diritti”, dall’aborto al matrimonio tra persone dello stesso sesso. La legge entrerà in vigore il 30 marzo 2020, a meno che, entro il prossimo 21 ottobre, un nuovo governo nordirlandese non veda la luce.

Sulla legalizzazione dell’aborto, lo scorso luglio erano intervenuti i vescovi cattolici nordirlandesi e le associazioni pro life, difendendo l’Accordo del Venerdì Santo, che indicava una serie di ambiti normativi (famiglia e vita in primis), in cui il Parlamento di Belfast avrebbe mantenuto la sua autonomia rispetto a Londra. Un accordo che, nei 52 anni dall’entrata in vigore dell’Abortion Act, avrebbe salvato la vita ad almeno 100mila bambini.

 

di Luca Marcolivio

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