La crisi pandemica ha portato ad un risultato estremamente prevedibile: l’Italia è sempre più povera. A farne le spese sono soprattutto le famiglie, specie se numerose. A certificarlo è l’Istat: nel 2020, un milione di persone in più sono nella povertà assoluta, che coinvolge 335mila famiglie in più rispetto al 2019. Tra le famiglie, la povertà assoluta è passata dal 6,4% al 9,4%, mentre tra le singole persone, l’aumento è stato dal 7,7% al 9,4%. Complessivamente è sempre il Sud ad essere più povero ma è nel ricco e avanzato Nord che la situazione è peggiorata di più.
A commentare i dati con Pro Vita & Famiglia è stato il presidente dello stesso ISTAT, Giancarlo Blangiardo, che ha espresso un auspicio: il recovery fund dovrà includere una parte cospicua destinata alle famiglie e alla natalità.
Professor Blangiardo, l’Italia esce dalle prime ondate di Covid sempre più povera. Ritiene che, in questo scenario, un ruolo determinante sia stato anche, in negativo, l’assenza di vere politiche familiari negli ultimi 30-40 anni?
«Nella mia posizione, preferisco non esprimere giudizi rispetto alle politiche demografiche condotte negli ultimi anni. Comunque, il dato statistico oggettivo messo in evidenza dal report dell’Istat uscito giovedì è un grave aumento della povertà assoluta sia per quanto riguarda le famiglie, sia per quanto riguarda i singoli cittadini. Questo è un segnale di indebolimento del sistema-paese nel suo complesso, ovviamente anche per cause di natura economica. L’elemento che reputo più importante, però, è un altro: questo incremento della povertà è andato a colpire soprattutto le famiglie e, in particolare, quelle con più di un figlio e con minori a carico. Sono scenari che dovrebbero far riflettere seriamente su come venirne fuori».
Ritiene allarmante il fatto che la situazione è peggiorata di più al Nord, quindi, nelle regioni più ricche e produttive?
«Soprattutto nella prima ondata, la pandemia ha colpito in maniera più drammatica la parte storicamente più ricca e produttiva del Paese. Ciò ha evidentemente lasciato dei forti segni in queste realtà, dove il livello di povertà è sempre stato relativamente più contenuto. La crisi pandemica ed economica ha quindi livellato il disagio tra Nord e Sud. Mi auguro che questa situazione si riveli transitoria e che rimboccandosi le maniche si possa superarla».
Con la pandemia, l’Italia ha patito un numero di morti più alto rispetto al resto d’Europa. Ritiene che l’alta età media della nostra popolazione abbia inciso in modo determinante?
«Dal punto di vista degli effetti più letali, da noi la pandemia ha inciso in maniera particolarmente drammatica ma ovviamente nemmeno gli altri paesi ne sono usciti indenni. Penso alla Spagna, al Belgio o alla stessa Germania. Detto ciò, è chiaro che un paese come l’Italia è più esposto, perché vive un processo di invecchiamento da ormai parecchi anni, avendo una componente anziana molto pronunciata. Da noi, il flusso di ricambio generazionale è decisamente basso, quindi questa tendenza, costantemente messa in evidenza dai dati statistici, è uno dei grandi problemi del Paese, che bisognerà, a mio parere, cercare di affrontare e risolvere».
C’è dunque un nesso di casualità diretto tra i due fenomeni?
«Assieme all’Istituto Superiore di Sanità, abbiamo presentato un report congiunto sugli effetti in termini di mortalità e di infezioni nel corso del 2020. Ne è venuto fuori un incremento della mortalità notevole: non dimentichiamo che siamo arrivati a 746mila morti, cosa che non succedeva dai tempi della guerra. Si è registrato dunque un aumento di morti pari a circa 100mila unità, delle quali il Covid è quasi totalmente responsabile. Il virus ha colpito per lo più la fascia più fragile e più debole, gli anziani e le persone con patologie croniche già presenti. Questo dovrebbe farci riflettere su come evitare tali situazioni, ovviamente inaccettabili, dalle quali – attraverso vaccini e comportamenti responsabili – dobbiamo assolutamente uscire, viste le conseguenze drammatiche che abbiamo già vissuto».
Il nuovo governo non ha ancora affrontato il tema delle politiche familiari. In ogni caso, ritiene che l’arrivo a fine anno del recovery fund rappresenti un’occasione utile per colmare finalmente questa carenza tipicamente italiana?
«Abbiamo davanti a noi l’opportunità di ricevere risorse utili per portare avanti una serie di interventi e affrontare una serie di problemi, che drammaticamente ci portiamo dietro da tempo. Uno di questi è proprio quello demografico. Vanno aiutate le famiglie, serve un intervento per rivitalizzare la popolazione e quindi la natalità. Sono interventi che ora, finalmente, si possono effettuare sul serio. Per cui, credo che ci debba essere una sensibilità a riguardo, non solo da parte della classe politica ma di tutto il Paese. Tutti dovranno comprendere, cioè, che il problema demografico, al pari di quello economico, andrà affrontato e, possibilmente risolto».