La Buona Notizia di oggi è che la vita vince la morte, la vita vince anche il dolore e la violenza...
Vi presentiamo alcune testimonianze forti rilasciate al Daily Mail e rilanciate da LifeNews (i nomi delle donne coinvolte sono nomi di fantasia. Siamo arrivati alla lettera D, ma potremmo continuare e arrivare alla Z e oltre).
Ann: «Sono stata violentata a 18 anni e sono rimasta incinta, oggi il mio bambino ha 11 anni. È mio figlio. Non ha niente a che fare con lo stupratore».
È umanamente comprensibile che le vittime della violenza sessuale, se restano incinte, possano optare per l’aborto. Ma le testimonianze come queste possono indurle a riflettere, prima di prendere una decisione così radicale: l’aborto aggiunge violenza a violenza. Perché l’aborto è, sì, violenza sul bambino, ma è anche un atto violento (per quanto possa essere medicalizzato) sul corpo della madre.
Un gesto che lascia un segno profondo.
Betty: «Quando avevo 15 anni sono stata vittima di stupro e sono rimasta incinta. Oggi la mia bella bambina ha 6 anni, io sono fidanzata con l’amore della mia vita e il numero due è in arrivo! Tu, stupratore, non mi hai rovinato!».
Cecilia: «Sono rimasta incinta a 14 anni. Ho tenuto e cresciuto il mio bambino. Sono così felice oggi. La maternità è stata una benedizione, perché in seguito ho avuto dei problemi e mi è stato diagnosticato che sono divenuta sterile».
In America, comunque, i casi di stupro o incesto rappresentano meno dell’1 per cento degli aborti, secondo le statistiche. E c’è sempre la possibilità di dare il bambino in adozione.
Dina: «Quando il mio stupratore mi ha messo incinta, quasi tutti quelli che conoscevo mi dicevano di abortire, come se ci fosse stata altra scelta: invece l’ho tenuta, la sto crescendo, e la mia bimba è la cosa migliore che mi sia capitata».
A lunedì, con un’altra Buona Notizia!
Redazione
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