40 Days for Life (40 Giorni per la Vita) è un’associazione internazionale cui aderiscono anche alcuni gruppi italiani, come gli Universitari Per la Vita, che organizza delle veglie di preghiera continue fuori dagli ospedali abortisti e offre sostegno e consulenza attraverso centri di aiuto alla vita alle donne in crisi per quella che in realtà non è quasi mai una vera “scelta”.
La loro “campagna d’autunno” finora ha salvato la vita a 188 bambini (e alle loro mamme).
Due testimonianze.
Una madre a El Paso, in Texas, è stata indirizzata da un medico che fa capo a “AbortionPillReversal.com” e ha interrotto la procedura abortiva iniziata con la pillola RU486. Dopo qualche giorno è andata a fare l’ecografia: un momento cruciale. Infatti, il processo di inversione non riesce sempre (dipende molto dal tempo trascorso dopo l’assunzione della prima pillola assassina e da altri fattori clinici). Perciò quando ha sentito forte e chiaro il battito cardiaco del suo bambino, ha fatto una grande “festa di preghiera” con i volontari che l’avevano sostenuta – e che continuano a sostenerla.
A Birmingham, in Inghilterra, le preghiere dei volontari hanno salvato la vita a 4 bambini finora. Una di loro racconta che mentre stava pregando fuori della clinica, una ragazza adolescente che stava per entrare si è fermata a parlare. Dopo, la ragazza è andata al centro di aiuto alla vita invece di entrare in clinica. «Nessuno sa che sono incinta e non so cosa fare, diceva, sono due giorni che cammino per la città, pregando che Dio di darmi un segno per farmi capire se devo tenere questo bambino» . Nessun segno. Quindi ha preso l’appuntamento per l’aborto. «Ma quando sono arrivata all’ingresso della clinica ho visto quella signora che teneva una croce: ho capito che era il mio “segno” che mi indicava di salvare la vita al mio bambino».
A domanda ha risposto: «No: non sono cristiana».
A domani, con un’altra Buona Notizia!
Redazione
Fonte: Lifenews
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