07/03/2025 di Fabio Piemonte

La folle deriva dell’eutanasia in Belgio sia un monito per l’Italia

Nel solo 2024 il Belgio ha registrato ben 4.000 richieste di eutanasia. Sono numeri drammatici quelli che arrivano dal secondo Paese europeo, in ordine cronologico, che ha legalizzato il suicidio assistito nel 2002, subito dopo l’Olanda, le quali testimoniano una deriva eutanasica inarrestabile.

Un sistema al collasso

«Non ho motivo di continuare a vivere in questo stato. Cosa mi resta da vivere? Niente». Con queste parole Janos - ebanista di 79 anni che ha avuto un ictus la scorsa estate e aveva già ulteriori patologie pregresse - ha motivato la propria richiesta di farla finita. A Janos la legge consentirebbe infatti la possibilità di richiedere il suicidio assistito, in quanto si sarebbe in presenza di «una sofferenza giudicata fisicamente o psicologicamente insopportabile, irrisolvibile e persistente». Eppure per i pazienti che soffrono soltanto di disturbi mentali «non abbiamo un marcatore biologico, non abbiamo un test che ci permetta di definire se una malattia sia inguaribile o meno», nota opportunamente Pierre Oswald, direttore del dipartimento di psichiatria dell’ospedale Erasme di Bruxelles. La legge belga prevede inoltre che ogni richiesta di suicidio assistito sia giustificata in modo puntuale da due medici in un documento che deve essere valutato da una Commissione per l’eutanasia. Il problema è che «la commissione riceveva circa 350 dichiarazioni all’anno quando è stata istituita, oggi sono quasi 350 al mese. Siamo sempre sull’orlo del collasso», denuncia la stessa presidente di tale Commissione Jacqueline Herremans, lasciando così trapelare come l’assenso al ‘fine vita’ venga di fatto offerto in maniera piuttosto indiscriminata a tutti, dato anche l’eccessivo carico di lavoro dovuto all’incremento esponenziale delle richieste. 

Eutanasia per i più vulnerabili

«“Non ce la faccio più a farcela finanziariamente”, oppure “Sono inseguito dalla polizia”. Poi, ovviamente la conversazione finisce molto rapidamente. Io dico loro educatamente che, in questi casi, non la facciamo». Rievoca così il dottor De Loch, medico belga, le richieste più assurde, quelle legate a motivi meramente economici, pervenute sulla sua scrivania. Tuttavia tali richieste sono emblematiche di una diffusa ‘cultura della morte’ ormai onnipervasiva, in virtù della quale «la pressione è maggiore sulla categoria di persone più vulnerabili. D’altra parte se non siamo ben accuditi chiederemo più facilmente di morire perché ovviamente nessuno vuole soffrire», spiega ancora il medico belga.  Appare pertanto evidente che laddove non sono contemplate - o davvero messe in pratica - le cure palliative, i pazienti, abbandonati a se stessi, chiedono maggiormente di farla finita. E questo accade in realtà non tanto perché desiderino davvero la morte, quanto piuttosto perché non vengono loro offerte delle alternative adeguate.

E in Italia?

In effetti è comprovato che, in un Paese in cui non si apra alcuno spiraglio all’eutanasia ma si favorisca al contrario una diffusione capillare sul territorio delle cure palliative, la richiesta di suicidio assistito si riduce notevolmente. Si auspica perciò che - memore della deriva eutanasica in Belgio come negli altri Stati che hanno adottato leggi similari, arrivando persino a offrire la possibilità di farne richiesta a pazienti depressi, soli e con un senso di vuoto esistenziale - l’Italia non si lasci irretire dalla giurisprudenza creativa di qualche sentenza, ma continui ad essere faro di civiltà, custodendo la dignità del paziente quale sia la sua condizione fino alla morte naturale e garantendo le cure palliative e tutto il supporto necessario ad alleviarne le sofferenze senza eliminare il sofferente.

 

 

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