Il tempo del ‘tramonto dell’Occidente’ si è concluso, per dirla col titolo di una celebre opera di Splengler. Data l’imperante ‘cultura della morte’ oggi si assiste infatti impotenti al ‘suicidio dell’Occidente’. Tale espressione, decisamente più incisiva e rispondente alla realtà, «qualifica la volontarietà dell’autolesionismo di una civiltà», come osservato acutamente da Alfredo Mantovano, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, durante il suo intervento nell’ambito di un recente convegno al Senato proprio sul tema de “Il suicidio dell’Occidente”.
«In Olanda si è passati dalle 2.000 eutanasie praticate nel 2002 alle 10.000 di oggi, anche sui bambini. In Italia, come confermano le cronache delle ultime settimane, esistono le basi culturali, giuridiche e politiche per percorrere la strada della morte a richiesta: il dibattito è concentrato non già su come affiancare e aiutare il disagio del paziente o dell’anziano (ciò a cui inizia a provvedere la recente legge sugli anziani), ma su come garantirgli di porre fine alla propria esistenza. La morte viene prospettata quale soluzione obbligata per uscire dalla solitudine collettiva nella quale siamo immersi», rileva lo stesso Mantovano.
Demolendo uno dei pilastri alle sue fondamenta, la «considerazione della persona come unica e irripetibile» ̶ punto focale d’incontro della tradizione filosofica greca, del diritto romano e della Rivelazione cristiana ̶ «la civiltà occidentale aveva superato la visione dell’uomo, propria di tanti imperi precristiani, quale parte di un meccanismo, da scartare se è inidoneo a contribuire al successo di una collettività». Eppure «con l’irruzione del darwinismo nelle scienze sociali – prosegue il Sottosegretario ̶ si è giunti a un’eugenetica sociale fondata sull’evoluzionismo, la quale ritiene che per garantire il progresso autentico è necessario prevenire la riproduzione dei soggetti inadatti». Tale mentalità eugenista non ha caratterizzato soltanto la Germania nazionalsocialista; basti pensare, per esempio, alle «circa 20.000 sterilizzazioni forzose compiute legalmente fino alla fine degli anni 1930 negli USA» o alle leggi in Svezia del 1934 per la sterilizzazione dei malati di mente.
Di qui al graduale scivolamento verso una «rivendicazione del diritto a morire come diritto di libertà», secondo la logica perversa del “best interest” decretata «per sentenza, poi per protocolli, quasi mai passando per le scelte dei Parlamenti», il passo è breve. È quanto accaduto nel caso tragicamente emblematico della piccola Indi Gregory, la bimba di sette mesi affetta da grave patologia mitocondriale che «i medici inglesi hanno ritenuto unfit, e – come già accaduto per casi analoghi, da Charlie Gard ad Alfie Evans – hanno sancito che le risorse del loro ospedale non dovessero andare “sprecate” per lei».
Tuttavia l’amore tenace e la resistenza all’ingiustizia dei suoi genitori hanno suscitato una mobilitazione internazionale dei media, del governo italiano e di medici e scienziati che hanno avuto il coraggio di sollevare obiezioni alla sentenza di morte, fino ad «aprire una crepa in un muro ideologico che appariva intangibile» e a ridestare l’autocoscienza di un ‘popolo per la vita’ di frequente marginalizzato e troppo spesso costretto all’irrilevanza. Ed ecco che un’innocente sofferente ma ancora capace di stringere con la manina il dito della mamma o dell’infermiera – alla stregua di Gandalf che ne Il Signore degli Anelli risveglia dal torpore il re Théoden, smaschera Vermilinguo e dona al re il coraggio di affrontare e sconfiggere il perfido Saruman – ridesta la coscienza di un Occidente moribondo.
A tal proposito meritano di essere riportate integralmente le parole di Mantovano che così conclude il suo intervento: «Il torpore che assale il re è il simbolo dell’accidia di chi è dalla parte giusta, ma resta fermo. Il nostro mondo è popolato da persone “buone” che dormono, dai non pochi Theoden, privi – talora per propria volontà – delle forze necessarie per combattere il male: su di essi paiono prevalere gli epigoni di Saruman e di Vermilinguo, che operano a tutti i livelli, in politica, nel mondo del diritto e in quello della medicina. Qualche settimana fa la parte di Galdalf l’ha assunta una bimba di sette mesi: quella sua piccola mano protesa verso chi le stava intorno ha fatto uscire tanti dal torpore e ha convinto che l’alternativa al suicidio esiste, ed è un’azione responsabile e di sacrificio. Il nostro sacrificio, non soltanto quello di Indi e dei suoi genitori. Perché questo è giusto fare. E questo, con l’aiuto di Dio, faremo».