In un Paese e in un momento in cui il livello di natalità continua a scendere inesorabilmente, un imprenditore ispirato, ha deciso, ormai da tre anni a questa parte, di premiare i dipendenti che mettono al mondo un bambino.
Parliamo dell’avvocato Roberto Brazzale, 59 anni, presidente della più antica azienda casearia d’Italia. La sua famiglia produce e commercia formaggi dal 1784, i suoi avi già dal Seicento. Davvero un’azienda storica, dunque che, ha come valore aggiunto una politica aziendale a forte impronta pro family, perché come afferma lui “In Repubblica Ceca in giro, vedo mamme e carrozzine. In Italia vedo solo badanti e sedie a rotelle.” Ci siamo rivolti direttamente a lui per capirne di più.
Avvocato, ci vuol parlare di questa sua attenzione alla vita nascente e all’incremento demografico, proprio dal pdv della Sua esperienza imprenditoriale?
«Il punto è questo: da quando abbiamo sviluppato uno stabilimento importante in Repubblica Ceca, dove abbiamo 360 dipendenti, abbiamo potuto vedere come lì gestiscono la maternità ed il lavoro, l’arrivo dei bambini, attraverso la possibilità del congedo parentale per 3 anni. E abbiamo fatto l’esperienza di come, in Repubblica Ceca, una simile misura funziona molto bene ed è assolutamente gestibile sotto l’aspetto aziendale, anche perché è accompagnato dallo Stato e dal sistema previdenziale. Ciò che abbiamo constatato, stando sul luogo, è che il tempo che viene concesso alle mamme o ai papà, crea una categoria di persone, i genitori coi loro bambini, che riempiono le strade e le piazza e contribuiscono a formare un vero e proprio mondo a sé, bellissimo. Per cui la maternità e la paternità diventa un’esperienza bella, attraente, non è vista come un problema, come da noi, anzi, genera emulazione nei più giovani. Avendo alle spalle quella esperienza fui molto colpito quando nel 2017 una sera scoprii che una mia dipendente di 29 anni che ricopriva un ruolo importante, non aveva il coraggio di comunicarci la sua prima gravidanza. A quel punto abbiamo capito che, se una persona così capace e intelligente soffre una tale preoccupazione allora era il momento di prendere dei provvedimenti decisi e mandare un chiaro messaggio. All’inizio mi è venuto in mente il baby bonus, la cosa più semplice del mondo, una mensilità premio, ma il mio gesto doveva avere un valore anche simbolico: non doveva solo significare che l’azienda non oppone alcun ostacolo alla maternità, ma che, anzi, vuole partecipare di questa gioia. Su iniziativa dell’on. Busin abbiamo contribuito ad una proposta di legge, nel 2017, per la defiscalizzazione dei bonus: noi non andiamo in cerca di aiuti di stato, vogliamo fare coi nostri soldi, ci dispiace solo per i dipendenti, anche perché poi la proposta di legge è finita nel cassetto. Oltre all’inconsistenza della politica, una grande responsabilità l’hanno i sindacati se una mamma lavoratrice non è garantita e accolta come nei paesi civili d’Europa. Da noi la maternità è considerata un intralcio all’emancipazione della donna anziché la sua realizzazione assieme al lavoro, roba da cattolici integralisti. In azienda, in questi tre anni, il clima è diventato stupendo: mandiamo i telegrammi quando nascono i bambini, non solo quando muoiono i dipendenti. È un’atmosfera diversa».
Il presidente dell’Istat, Blangiardo, ultimamente parlava di “quadro da dopoguerra”, riguardo il crollo demografico, secondo Lei perché si continua ad ignorare una delle cause di decrescita anche economica del nostro Paese? Un parere da imprenditore…
«Il motivo è che gli italiani hanno un complesso di autocelebrazione patologico e non hanno l’umiltà di guardare al di fuori delle proprie frontiere ciò che succede, di confrontarsi. Inoltre, il nostro, è un popolo da sempre diviso in fazioni, non veramente maturo, incapace di capire la gravità della situazione ed aprire un dibattito su questioni di lungo termine. L’Italia è oggi dominata da una dittatura senile che domina qualsiasi organo decisionale: dai sindacati ai partiti. E molti giovani sono vecchi dentro, allevati con una cultura da vecchi, non con una propensione al rischio, alla creatività, alla procreazione. Procreare significa rischiare, lanciarsi, noi, invece, sappiamo pensare solo alle rendite garantite: il massimo trofeo sono la pensione o il reddito di cittadinanza. Parlare di misure impegnative sull’aspetto finanziario, ma enormemente meno impegnative delle pensioni, che siano, tuttavia, misure radicali e decise, non passa nemmeno per la testa alla nostra classe politica, perché richiede sforzo e coraggio di ripartire in modo diverso le risorse oggi monopolizzate dalle pensioni. E gli italiani non hanno coraggio, non hanno nemmeno più voglia di dibattere, ci stiamo trasformando in dei tira a campare, non abbiamo la cultura della responsabilità. Inoltre, nemmeno dal punto di vista estetico, la nostra società considera bello il bambino e la mamma. Persino la dimensione estetica della maternità è stata abbandonata, c’è proprio un abbruttimento. Pensi al paradosso dei bambini a cui viene coperto il volto nelle foto, perché per noi, la bellezza dell’infanzia non fa più parte della nostra vita. Noi abbiamo solo “vecchi” che chiedono servizi sociali e garanzie per sé. In questo scenario è come se vivessimo una malìa: vediamo solo noi stessi e non riusciamo ad allargare lo sguardo alle esperienze che funzionano»
È proprio uno scenario senza speranza, il nostro?
«Io le sto provando tutte per far capire che è necessario un provvedimento radicale, decisivo, non misurette così: anche l’assegno unico, non basta, non cambierà nulla! Qui ci vuole una misura radicale: qual è la cosa di cui hanno più bisogno le mamme? Il tempo! Perché negli altri paesi dell’Unione Europea ci sono i congedi triennali e da noi no? In Repubblica Ceca ed altri paesi europei ci sono e le nascite superano le morti. Da noi 700.000 morti e 400.000 nati, 300.000 vite perdute, altro che covid. Il covid ha mietuto 100.000 vite in un solo anno straordinario. Considerata l’aspettativa di vita di 83,3 anni e l’età media dei morti di Covid raggiungiamo i 130.000 anni di vita perduti, mentre a causa del crollo demografico perdiamo 24.990.000 anni di vita ogni anno! E’ una contabilità impressionante. Ogni anno sparisce una città di 300.000 abitanti, non abitanti normali, ma bambini, neanche Erode avrebbe fatto una cosa del genere. Ecco allora, che ho pensato in azienda di allungare di un anno il congedo parentale, pagato da noi. Fatto come? Abbiamo pensato di dare la possibilità, alla fine del congedo parentale, quello di legge e quello facoltativo e obbligatorio (circa 11 mesi del bambino) di esercitare un’opzione, quella di restare a casa, fino ad un anno, con un contratto part time, retribuito al 30% senza obbligo di presenza. Per cui loro stanno a casa retribuiti al 30%. Ci abbiamo messo sei mesi per riuscire a trovare un escamotage, perché l’ordinamento non è pronto per una misura del genere, si rischiava di pagare i contributi interamente. Per l’azienda è un grosso onere, perché significa di media 10.000 euro per ogni dipendente, però abbiamo deciso di fare così sperando che quanto prima il congedo parentale sia esteso per tutti per legge a tre anni. Ma non si può pretendere che tutti i colleghi lo facciano: gli imprenditori sono molto spesso persone buone d’animo che si mobilitano di fronte a singole situazioni, ma non in modo sistematico. Spesso intervengono una tantum, ma perché spesso non sanno nemmeno cosa si può fare, come agire. I nostri imprenditori italiani seguono ciò che è previsto dai contratti, dalla legge, non sono abituati ad esercitare la loro libertà ed i sindacati non ne hanno interesse. Allora abbiamo pensato, con gli amici imprenditori del Veneto che hanno adottato misure a favore dei padri e delle madri, di costituire un gruppo libero, non formalizzato, legati da una mailing list, che si chiama “Benvenuta Cicogna!” che serve, intanto, a scambiarci informazioni e promuovere l’idea che si possa aiutare la maternità sul lavoro e anche a fornire consigli ai colleghi. È un modo per dare coraggio e invitare a buttarsi nel portare avanti queste iniziative, perché è facile e bello. Poi, siccome ci piacciono le provocazioni a fin di bene, quest’anno, nella Giornata per la Vita, quando ho dato uno sguardo ai programmi dei candidati di Confindustria di Vicenza e ho visto che non ce n’era nemmeno uno che metteva al primo posto la promozione della maternità, ho preso il computer e ho fatto un appello su fb a questi 4 candidati, che si sono fatti tutti vivi e ora vedremo che succederà. Dobbiamo capire che il ruolo del datore di lavoro è decisivo: se noi, attraverso Confindustria che è la più importante organizzazione da noi nel vicentino, la terza d’Italia, riusciamo a promuovere queste pratiche, può far partire un’onda. Siamo un gruppo di imprenditori che si dà da fare in questo senso, senza la pretesa di indicare la strada giusta, ma semplicemente dicendo che qualsiasi gesto, qualsiasi atto di valore simbolico è prezioso per i giovani che aspettano di sentirsi al centro della nostra attenzione e che la società li mette su un piedistallo, negli anni in cui realizzano i loro progetti di papà e di mamma. È una specie di ribellione all’inerzia, la nostra, coi mezzi nostri, senza chiedere niente a nessuno. Il mio scopo è far capire che, per le mamme, quei primi tre anni, dev’essere sempre Domenica. Non basta finanziare gli asili, sono rimedi spartani: ho visto mia moglie soffrire per aver dovuto mollare i miei figli quando avevano pochi mesi. Insomma i bambini stanno bene vicino alla mamma e viceversa e bisogna garantire, per tre anni, che questo succeda e dopo, vadano pure all’asilo. C’è bisogno di scelte, semplici, radicali, messaggi potenti. Quanto costerebbe? Se su 400.000 nati, tutti le mamme accedessero ad un provvedimento del genere, sarebbero circa 4 miliardi di euro all’anno, sommando tre annualità, verrebbero impegnati circa 12 miliardi di euro dal sistema previdenziale. Ma sa quanto si spende di pensioni? Duecentoquaranta miliardi: stiamo parlando di un ventesimo».