Il fabrianese Giorgio Farroni campione paralimpico nel ciclismo, poco dopo la conquista della medaglia d’argento ai Giochi di Tokyo, ha raccontato la sua storia in una recente intervista su Interris.
Innanzitutto Farroni è alla sua quinta partecipazione, dopo Sydney 2010, Pechino 2008, Londra 2012 e Rio 2016.
Un argento davvero sudato, quello di Tokyo e nonostante l’atleta abbia dovuto lottare sin dalla nascita contro la disabilità, nello specifico, la distonia emiplegica destra, patologia neurologica caratterizzata dalla paralisi parziale della metà destra del corpo. Solo dopo vari interventi alle mani e al braccio, durante l’adolescenza, Farroni ha, finalmente, potuto dedicarsi alla sua passione: la bicicletta.
Ma è nel 2000 che riceve per la prima volta la convocazione per la partecipazione alle Paralimpiadi (di Sydney) raggiungendo il 9° e il 10° posto nelle gare, su strada e cronometro.
Nel corso dell’intervista sottolinea, poi, l’importante ruolo della sua famiglia: “In tutti questi anni, è stato importantissimo per me avere la mia famiglia che mi ha appoggiato nei momenti di difficoltà, mi ha accompagnato alle gare e, crescendo, non mi ha visto per tanto tempo perché mi allenavo e gareggiavo lontano casa”.
Racconta anche il modo virtuoso in cui è riuscito a sfruttare il triste periodo del lockdown per perfezionarsi a livello tecnico su tanti piccoli dettagli, un lavoro certosino che gli ha permesso di raccogliere frutti importanti, fino all’argento di Tokyo. Ma, soprattutto, sottolinea con convinzione, il grande peso dello sport nella sua vita e nel suo modo di affrontare la disabilità.
“Lo sport – ha spiegato - mi ha aiutato a vivere e a reagire positivamente alle difficoltà. Mi ha insegnato la resilienza che per me significa impegnarsi e non mollare mai. Grazie allo sport, non mi ha mai pesato avere una disabilità. Sto bene con me stesso. Credo che questo sia il miracolo che lo sport può fare nella vita delle persone, in qualunque situazione si trovino”.