18/10/2012

L’aborto, ignominia del XX secolo

Il dibattito in corso in Italia sulla ipocrita e iniqua legge 194 merita di essere sostenuto quanto possibile. Le riflessioni storiche ed etiche di un esperto come Francesco Agnoli ci aiuteranno a percepire ancor meglio la gravità senza pari della pratica abortiva, fornendoci spunti di riflessione da offrire a chi ancora non vuole capire.

Sono passati trent’anni dall’introduzione dell’aborto legale e gratuito, in Italia, con la legge 194 del 1978, e quarant’anni dalla fatidica rivoluzione del Sessantotto, che pose le basi per il cambiamento della morale del mondo occidentale. Sembra che dopo questi lunghi anni di forzato silenzio, si possa tornare a parlare di quel dramma che ormai milioni di donne hanno vissuto, e che nessuno dovrebbe più avere il coraggio di sottovalutare. Troppo è stato il dolore, troppe le disillusioni, troppi i progressi scientifici, perché si possa ancora fingere che l’aborto sia una esperienza di libertà, un diritto, una conquista civile.

Saggezza naturale antica

Ma andiamo con ordine. L’aborto legale non è mai esistito nella storia dell’umanità. Oltre 400 anni prima di Cristo, il famoso medico Ippocrate giura di non suggerire ad alcuna donna «prescrizioni che possano farla abortire».
Cosa sia il feto nessuno ancora lo sa. Per i più è semplicemente una pars ventris, una parte del ventre della donna, eppure, gli uomini più famosi dell’antichità greca e romana deprecano l’atto abortivo. Siamo in un’epoca in cui esistono la schiavitù, i giochi gladiatorii, il diritto di ripudio, talora l’infanticidio… Il Cristianesimo non è ancora arrivato a sottolineare la dignità dell’uomo, il suo essere figlio di Dio, e nonostante questo vi è un certo rispetto per la donna incinta e per il frutto del suo grembo.

Col Cristianesimo ogni uomo assume un’importanza straordinaria, come figlio di Dio, come creatura unica e irripetibile, dotata di un destino immortale. Per questo l’aborto diviene per tutti un delitto, senza giustificazione alcuna.
Eppure non esiste certo l’ecografia, capace di mostrarci la straordinaria complessità del feto; eppure la scienza non ha ancora spiegato che già nell’embrione vi è tutto il patrimonio cromosomico che permetterà ad esso di svilupparsi senza soluzione di continuità. Nessuno sa che a 18 giorni vi è già un cuoricino che pulsa; che ad un mese e mezzo i ditini si precisano, con le loro impronte digitali, uniche e inconfondibili; che a due mesi vi è una creatura perfettamente simile ad un grande, che misura pochi centimetri ma possiede già tutto ciò che lo caratterizza come uomo; che a breve salterà come un astronauta nella sua capsula, ascolterà la voce della sua mamma, si succhierà il dito e reagirà agli stimoli esterni.

Nessuno sa ancora che sin dal primo giorno vi è, tra l’embrione e la madre, un colloquio crociato (talk cross) attraverso il quale il primo comunica alla seconda il suo arrivo e la madre inizia, di conseguenza, a mutare il suo fisico, per adattarlo alle esigenze del figlio. Nessuno sa, ripeto, queste verità scientifiche, eppure si comprende che all’interno dell’utero della donna vi è già una vita, che misteriosamente cresce, affidata alla generosità, alla custodia, alla protezione della donna, chiamata a collaborare con l’uomo e con Dio per la procreazione dell’umanità!

Buon senso della carità cristiana

Nel Medioevo cristiano la difficoltà di alcune coppie a tenere un eventuale figlio trova l’attenzione della società e della Chiesa, che dà vita alla ruota degli esposti: il bambino può essere affidato ad un monastero, ad un convento, senza che vi sia per la donna o la coppia, magari in difficoltà economica, alcuna punizione. È la storia di “Marcellino pane e vino”, e di tanti altri bambini, come testimoniano ancora oggi tanti cognomi, dati appunto ai trovatelli, agli esposti: Trovato, Trovai, Esposito, degli Esposti, Proietti, Fortunato, Fortuna, Diotallevi…
Questa possibilità di affidare il figlio non voluto alle cure di qualcun altro, magari di una famiglia sterile che desidera adottare, invece che ucciderlo, è mantenuta ancor oggi, nel nostro diritto: ma purtroppo pochissimi la utilizzano, dal momento che abortire è divenuto più “facile”, legale, gratuito, nell’immaginario collettivo giusto!

Follia del Novecento

L’aborto verrà legalizzato per la prima volta nella storia solo nel Novecento: prima nella Russia comunista, dove la distruzione della famiglia, l’amore libero, il divorzio tramite cartolina (una sorta di Di.Co ante litteram) portano alla diffusione degli uxoricidi, degli aborti, degli infanticidi ed alla creazione di immensi orfanotrofi di cui ancor oggi vediamo l’esistenza ed i frutti.
Il secondo Stato a legalizzare l’aborto, dopo il divorzio e prima dell’eutanasia, è la Germania nazionalsocialista. Seguono i vari Paesi comunisti satelliti di Mosca, poi l’Inghilterra nel 1967-‘68, gli USA nel 1973, la Germania e la Francia nel 1975, l’Italia nel 1978, il Belgio nel 1990….
Oggi l’aborto è vietato, sostanzialmente, nell’Irlanda cattolica, a Malta, San Marino, in Polonia, in parte dell’Asia, e in diversi Paesi dell’America Latina, dove le grandi organizzazioni di pianificazione familiare, in particolare l’IPPF americana, in combutta con agenzie dell’ONU, cercano di introdurlo con ogni mezzo.

L’ignominia in Italia

Ma veniamo alla legalizzazione dell’aborto in Italia, nel 1978. All’epoca la strategia utilizzata dagli abortisti per convincere l’opinione pubblica è la più varia, ma in fondo la stessa utilizzata negli altri Paesi. Da una parte si sminuisce totalmente l’entità del feto, definendolo spesso “grumo di sangue”, “brufolo”, “parassita a bordo”, “uovo” ecc.; dall’altra si afferma che essendo già numerosissimi gli aborti clandestini nel Paese, tanto vale legalizzare l’aborto, per sottrarre la donna a rischi ulteriori per la vita e la salute.

Non potendo esserci alcuna stima ufficiale e sicura dell’aborto clandestino in Italia, radicali, comunisti e alleati propalano le cifre più assurde e ridicole. Mentre infatti l’abortista Nathanson parla di 1.000.000 di aborti clandestini negli USA (più avanti dirà che non erano più di 100.000), in Italia, che è Paese molto più piccolo e meno popolato, gli abortisti propongono cifre assurde, che vanno dagli 800.000 ai 3.000.000 di aborti clandestini annui!
Queste cifre compaiono sui giornali, nelle proposte di legge depositate in Parlamento, in ogni discussione pubblica… Si cerca così di far credere che l’aborto sia una pratica già diffusissima, cioè “normale”. La verità verrà a galla troppo tardi: nel 1979, una volta divenuto l’aborto libero, nei primi novanta giorni, gratuito e legale, e quindi incoraggiato e benedetto, gli aborti saranno non uno o due o tre milioni, ma 187.752!

Successivamente, come è logico, entrando l’aborto nella mentalità comune, il numero annuo crescerà: 220.263 nel 1980, sino ai 231.404 del 1983! Solo negli anni successivi, pian piano, si assisterà ad un calo degli aborti, non dovuto certamente alla legge, che è una delle più larghe al mondo, ma ad altri fattori: la maggior coscienza di cosa sia veramente l’aborto, l’utilizzo sempre più massiccio della pillola del giorno dopo, con funzioni abortive, il calo della fertilità, la diminuzione dei matrimoni, l’aumento dei bambini salvati dalle organizzazioni pro life, l’usanza sempre più diffusa, in alcuni ospedali, di spacciare per spontanei aborti procurati, la permanenza e in certi anni l’aumento, degli aborti clandestini…

194: la legge più ipocrita del mondo

Infatti, a ben vedere, la 194 non può avere avuto alcun effetto positivo, essendo integralmente sbagliata. Come ho scritto nel mio Storia dell’aborto (Fede & Cultura), infatti, «la realtà è che la 194 si caratterizza per essere la legge più ipocrita dell’orbe, forse proprio perché sottoscritta da cattolici: si intitola “Norme a tutela della maternità” e permette l’aborto, nei primi novanta giorni con assoluta libertà; nasce dalla sedicente volontà di combattere gli aborti clandestini, e invece diminuisce le pene previste per tale reato; dichiara di tutelare la vita dal suo inizio, e, oltre a legalizzare l’aborto, omette di prevedere qualsiasi vera e concreta modalità per attuare una prevenzione di esso, per aiutare le coppie in difficoltà, per rendere consapevole la donna di quello che andrà a compiere; mette l’accento sulle possibili conseguenze psicologiche di una gravidanza, quasi fosse un’esperienza contro natura, lasciando intendere che l’aborto possa configurarsi come salutare e salvifico, e tralascia di sottolineare le sue conseguenze nefaste sulla psiche e sul fisico della donna».

Inoltre la 194 afferma di non concepire l’aborto come metodo di regolazione delle nascite, ma non pone nessun limite al numero degli aborti di una stessa donna, lasciando così che avvenga proprio ciò che si dice di contrastare. Infine nega di avere possibili esiti eugenetici, mentre in concreto permette l’eliminazione di un bambino “malato”, qualsiasi sia la sua malattia, foss’anche un labbro leporino o due dita del piede attaccate…

Una legge contro la donna, contro l’uomo, contro i figli

Un altro aspetto negativo della 194 è che ha consacrato l’idea che la madre sia proprietaria del feto che ospita nel suo grembo e che il padre sia personaggio assolutamente inutile, non tanto perché non può opporsi all’aborto, quanto perché viene deresponsabilizzato integralmente, in tutti gli istanti del rapporto affettivo, dal momento che permettere l’aborto separa sin dall’origine il padre dalle sue responsabilità.

Per questo dunque la 194 mi sembra una legge contro la vita, dei concepiti, delle madri e dei padri, e una castrazione di questi ultimi e della vita di coppia rettamente intesa. La 194 infatti realizza perfettamente quel rischio che l’enciclica Humanæ Vitæ attribuiva alla contraccezione, spingendo all’infedeltà coniugale, alla sottovalutazione dell’importanza del rapporto carnale e a considerare la donna «come semplice oggetto di godimento egoistico». È, insomma, una vera legge contro la donna, dal momento che ne fa l’unica responsabile di un compito, la maternità, che andrebbe invece vissuto e portato, sin dall’origine, in due.

Oggi, a sentire i benpensanti, la responsabilità del maschio è ridotta alla sua volontà o meno di usare il preservativo, e l’uomo, così animalizzato e sminuito, si regola di conseguenza, scindendo sesso e amore: l’utero è tuo, gestiscitelo pure tu, con le eventuali nascite, gli eventuali aborti, e i traumi fisici e psichici che ne deriveranno.
Se così stanno le cose, non rimane che fare tutto il possibile perché la verità sia conosciuta, evitando di lasciarsi irretire da possibili strategie politiche e tatticismi in nome dei quali sacrificare la verità: sia perché non esiste alcun fine che  giustifichi i mezzi, sia perché la verità ci rende liberi, sia infine, perché il modello, per un cattolico, è Tommaso Moro e non Machiavelli.

Un peso che non si cancella

Trovo conferma a queste riflessioni leggendo l’ultimo numero della rivista “Contraccezione, sessualità, salute riproduttiva”, diretta da Emilio Arisi, presidente nazionale dell’Uicemp, abortista convinto e uno dei massimi promotori della Ru 486 in Italia.
Ebbene in tale rivista la dottoressa Lerda racconta diversi casi di concepimento e di aborto in seguito al fallimento del preservativo. Ci racconta così la storia di Patrizia, una ragazza che sette anni dopo l’aborto «è diventata insicura e ancora si tormenta (…) sta ancora con quel ragazzo: non lo ama più, ma non ha il coraggio di lasciarlo. La lega a lui il ricordo del bambino mai nato e della vita che avrebbero potuto avere insieme, ma che per colpa sua non hanno potuto vivere».

L’anno scorso Patrizia ha iniziato un ciclo di psicoterapia, «ma non è ancora pronta a perdonarsi». Dopo altre storie analoghe la Lerda conclude sull’aborto: «Sia che la donna cerchi di cancellarne il ricordo, sia che continui a sentirne il peso, si tratta comunque di un lutto che si porterà dietro tutta la vita. È una scelta che influenzerà anche il rapporto con il partner e con gli eventuali partner successivi, una scelta che peserà nuovamente in caso di altre gravidanze».

di Francesco Agnoli

 

 

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