L’AMM è una associazione internazionale di medici nata nel 1947 a Parigi. Assolutamente laica e indipendente da qualunque chiesa, ha la sua sede In Francia, esattamente a Ferney. Ne fanno parte, come membri costituenti, 120 associazioni mediche nazionali, per un totale di circa 10 milioni di medici in tutto il mondo.
Nell’ultima Assemblea generale, tenutasi ad ottobre a Berlino, è stata prodotta una nuova ufficiale “Dichiarazione sulle cure mediche in fin di vita”, parzialmente rivista rispetto alla precedente, che risaliva all’Assemblea di Venezia del 1983.
Nella Dichiarazione, pubblicata sul proprio sito, l’Associazione ribadisce di essere «fermamente opposta all’eutanasia e al suicidio medicalmente assistito». «La fase del fine vita – si legge - deve essere riconosciuta e rispettata come una parte importante della vita della persona». Senza scorciatoie, incoraggiamenti alla “buona morte” e altri abbagli etici.
Anche perché, «i progressi della medicina hanno migliorato l’attenzione dei medici sui molti aspetti legati alle cure» dei pazienti in fin di vita. L’AMM dà inoltre grande valore alle «attitudini e alle credenze» dei pazienti, le quali «possono variare da una cultura e una religione a un’altra». E che non vanno ignorate dai medici.
Alla luce di tutto ciò, la Dichiarazione dà una serie di utili “raccomandazioni” ai dottori, agli ospedali e a tutti gli operatori della sanità. Anzitutto sul valore imprescindibile oggi delle cure palliative dei malati gravi. Definite nella dichiarazione come «cure mediche di qualità», per «preservare la dignità e la libertà del paziente».
Poi sull’accesso generale ai trattamenti anti-dolore, fondamentali per «alleggerire le sofferenze» fisiche e psicologiche dei malati. La cosiddetta sedazione profonda che altera e sospende la percezione e la coscienza del malato, «non deve mai essere usata per causare intenzionalmente la morte del paziente».
Più in generale l’AMM richiama all’attenzione delle università di medicina e della stessa politica sanitaria degli Stati la necessità di formare bene la nuova classe medica per occuparsi con professionalità ed empatia della salute e del benessere dei cittadini nella fase più critica della vita. Richiama inoltre alla necessità di adoperarsi affinché le «risorse psicologiche, sociali e spirituali» siano a disposizione «dei pazienti e delle loro famiglie». Al fine di aiutarli, di fronte «all’ansia, alla paura e alla tristezza associate al fine vita».
Sì, quindi, a tutto ciò che accompagna il paziente nel dolore. No, invece, alla soppressione del malato in nome della buona morte o del rispetto della sua dignità.