In occasione della Giornata Mondiale per la prevenzione del suicidio (17-18 settembre 2019) voluta dall’Onu, l’Associazione culturale San Michele Arcangelo, in collaborazione con Pro Vita & Famiglia Onlus, la Parrocchia Ortodossa «Protezione della Madre di Dio» del Patriarcato di Mosca e Scienza e Vita Ravenna, ha promosso una campagna di sensibilizzazione contro la legalizzazione del suicidio assistito e del suo aiuto e ha aderito al manifesto diffuso dalla stessa Pro Vita & Famiglia Onlus contro l’eutanasia.
A partire da oggi sono affissi nelle vie della città romagnola cartelloni con questo slogan: «Se pensi che il “suicidio assistito” sia un traguardo per l’umanità, considera che alleviare la solitudine dei più deboli è il coraggio di tutti: dello Stato, della comunità e tuo». Contemporaneamente, sono stati esposti anche i manifesti di Pro Vita & Famiglia Onlus realizzati per far riflettere contro la deriva eutanasica che imperversa in Europa e che ormai ha attecchito anche in Italia.
Ha recentemente suscitato grande emozione, a livello mondiale, la notizia del suicidio di Noa Pathoven. La ragazza olandese di 17 anni, vittima nell’infanzia di violenze sessuali, non è riuscita a superare le profonde sofferenze che ne hanno attanagliato l’anima e ha deciso di porre termine a queste sofferenze lasciandosi morire di fame e di sete, con il consenso dei genitori, nel salotto della sua abitazione. Si può considerare ragionevole che la tragica decisione di Noa influenzerà per sempre le vite dei suoi familiari ed amici. Ci si deve chiedere perché le persone e i professionisti vicini alla ragazza non abbiano saputo aiutarla a superare il suo profondo disagio.
La morte di Noa è avvenuta nel contesto di uno Stato, i Paesi Bassi, che fin dal 1980 aveva gradualmente permesso pratiche di suicidio assistito, poi sfociato in quelle eutanasiche, attualmente previste perfino per i minorenni. Accanto a questa tragica vicenda, che ha scosso l’opinione pubblica internazionale, hanno suscitato enorme scalpore le morti procurate per inedia, con sentenza dei giudici francesi, del disabile Vincent Lambert e per mano di quelli inglesi dei bambini Isaiah Haastrup, Charlie Gard e Alfie Evans, sempre motivandole per il loro «migliore interesse». Occorre che ognuno di noi si chieda se ci sono vite più degne di esistere di altre e se si vogliano applicare a tutti criteri assoluti di «qualità della vita» e, infine, se questi criteri li debba decidere lo Stato.
Occorre domandarsi, ulteriormente, se l’eutanasia non stia emergendo come un disimpegno, se non una resa del tutto immotivata della responsabilità di investire nella ricerca farmacologica e in specifiche professionalità per alleviare le sofferenze dei malati terminali, reputate come costi eccessivi dagli enti sanitari.
La deriva eutanasica non rappresenta forse la bieca consacrazione del principio che per vie legali è possibile eliminare le vite delle persone ritenute inutili spesso solo da una piccola, tanto nichilista quanto influente, parte della società? E è forse assurdo ritenere che cittadini abbandonati dalle loro stesse famiglie scelgano l’eutanasia per trovare una soluzione alla loro solitudine esistenziale, che sarebbe però mitigata se si volessero trovare gli strumenti da parte delle istituzioni e del volontariato?
La Corte Costituzionale ha rinviato all’udienza pubblica del prossimo 24 settembre la trattazione delle questioni di legittimità costituzionale innestata dall’ordinanza del 14 febbraio 2018 della Corte d’assise di Milano. Il tribunale lombardo ha sollevato dinnanzi alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, che prevede il reato di “Istigazione o aiuto al suicidio” e che stabilisce pene dai 5 ai 12 anni per chi lo commette. La vicenda processuale nasce dall’autodenuncia da parte di Marco Cappato che nel febbraio 2017 aveva accompagnato nella clinica «Dignitas» in Svizzera Fabiano Antoniani – Dj Fabo - tetraplegico e cieco in seguito alle conseguenze di un incidente stradale. All’interno di questa struttura, Antoniani poneva fine alla sua esistenza attraverso un farmaco letale. In una prima udienza, la Corte Costituzionale ha rinviato al 24 settembre la propria decisione sulla legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, suggerendo contestualmente al Parlamento di legiferare sulla delicata materia, entro quel termine.
Alcuni disegni di legge attualmente all'esame del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati sono orientati a rendere lecita l'eutanasia o a prevedere una mitigazione della pena per l'aiuto al suicidio - riducendola fino a 6 mesi di reclusione - quando il responsabile dell'illecito viva con il malato e agisca in condizioni di grave turbamento. Una prospettiva che, come è facile intuire, può aprire voragini di arbitrarietà: qual è il limite della discrezionalità del convivente che è chiamato a decidere quale sia il livello di sofferenza sopportabile per l’altro? I criteri, infatti, variano da singolo individuo a singolo individuo e di contesto in contesto tenendo conto dei concreti supporti esistenti o meno.
Inoltre, si può ragionevolmente ipotizzare che vi siano persone particolarmente fragili esposte a pressioni per porre termine alla loro esistenza da parte di chi ne abbia interesse.
Le leggi incidono sulla mentalità di un popolo e hanno anche una funzione educativa. Assecondare la logica della morte per legge è una sconfitta e un cedimento alla «cultura dello scarto» e a quella del disimpegno per chi soffre. Lo Stato deve e può sviluppare, anche coadiuvato dal volontariato, una rete di welfare sanitario e incrementare progetti culturali per promuovere l’etica dell’impegno e della responsabilità verso i suoi cittadini più bisognosi di relazioni di aiuto, di cure e di speranza.
di Simone Ortolani