Da giovedì scorso, in Austria, il suicidio assistito è legale. Il Parlamento di Vienna ha così colmato il vuoto legislativo, prodotto da una sentenza della Corte Costituzionale, secondo la quale il divieto avrebbe violato il diritto umano fondamentale dell’«autodeterminazione». Al contempo, la vecchia legge che vietava il suicidio assistito era in scadenza e avrebbe lasciato il “far west” legislativo. Uno scenario, dunque, molto simile a quello italiano.
Secondo la legge austriaca appena approvata, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2022, il suicidio assistito è consentito ai cittadini di età superiore ai 18 anni, che abbiano redatto un biotestamento consegnato al proprio notaio o avvocato, e che siano malate terminali oppure in una condizione di sofferenza permanente e particolarmente debilitante. Ogni caso dovrà essere valutato e approvato da due medici, di cui almeno uno esperto di cure palliative: starà ai due specialisti, stabilire se la richiesta di morire del loro paziente sia realmente libera oppure condizionata da fattori esterni o pressioni.
Una volta formalizzata la richiesta di morire, dovranno trascorrere almeno dodici settimane: il tempo necessario per assicurarsi che tale volontà sia ferma e costante e non frutto di una crisi momentanea del paziente. Nel caso del malato terminale, lo stesso tempo può essere ridotto a due settimane.
La legge sul suicidio assistito è stata approvata al Parlamento austriaco da una maggioranza trasversale, che comprende il Partito Popolare e i Verdi, attualmente al governo, e i liberali e i socialisti, all’opposizione. L’unico voto contrario è stato quello dei nazionalisti di destra del Fpö. Il ministro della Giustizia, Alma Zadic (Verdi) ha annunciato contestuali misure integrative per una «alternativa al suicidio», dall’hospice alle cure palliative, assieme ad altre iniziative per la prevenzione del suicidio.
Tra le poche voci contrarie al suicidio assistito nel paese, figurano i vescovi austriaci, che, nel corso del dibattito parlamentare, avevano denunciato «carenze inaccettabili» per ciò che riguarda la garanzia della prevenzione dagli abusi. «In brevissimo tempo – aveva dichiarato monsignor Franz Lackner, arcivescovo di Salisburgo e presidente della Conferenza Episcopale Austriaca – il caso eccezionale diventa una normalità socialmente accettata e l’esenzione dalla pena un diritto esigibile».
I presuli avevano anche lamentato l’assenza, nel team di valutazione delle richieste, della figura dello psichiatra. Secondo i vescovi austriaci, la nuova legge sul suicidio assistito rivela un intento pedagogico, per cui «l’unica forma di vita che valga la pena di essere vissuta» sarebbe una «vita piena e attiva», mentre «ogni forma di mancanza o malattia è vista come un fallimento che non può essere tollerato». Pur riconoscendo gli sforzi del legislatore nel «proteggere le persone dalla fretta e dall’errore», monsignor Lackner ha auspicato che a morire non siano i cittadini austriaci ma la legge «se noi come comunità di solidale riusciamo a impedire a chiunque in Austria di farne uso».