In Regione Lazio, passa all’ unanimità una legge finalizzata a facilitare l’accesso delle persone con disabilità “non collaboranti”, all’ interno degli ospedali della Regione, aiutandole concretamente, tramite l’introduzione di un’equipe di operatori, nella prenotazione delle prestazioni sanitarie. Un’assistenza, di cui il paziente disabile e la sua famiglia, potranno usufruire per tutto il tempo della loro permanenza sanitaria. Una legge che ha visto come prima firmataria il consigliere regionale Chiara Colosimo, a cui abbiamo chiesto ulteriori delucidazioni a riguardo.
Consigliere, Lei, in un suo recente intervento, ha sottolineato come, di questo provvedimento, oggi si sentisse più bisogno che mai. L’attuale situazione di emergenza sanitaria è, infatti, andata a colpire soprattutto i più indifesi, portando alla luce tutte le difficoltà legate al loro vivere quotidiano. Come si tradurrà concretamente l’attuazione di questa legge? Sarà ad esempio ammessa la presenza dei caregiver in alcune circostanze particolari?
«Questa legge nasce da progetti che ci sono già stati e da un programma che si chiama DAMA che diversi anni fa era stato studiato in Lombardia per l’accesso facilitato delle persone ad alta complessità. Infatti l’espressione “non collaboranti”, indica esattamente tutti coloro che hanno problemi di grave intensità sia psichica che fisica, che motori, che relazionali che comunicativi. Non si poteva utilizzare un termine diverso, perché avremmo escluso qualcuno, invece, con “non collaboranti” abbiamo voluto indicare che sia per motivi fisici che relazionali, che psichici, si hanno difficoltà grosse, sia perché ci sono alcuni che hanno problemi a comunicare di che tipo di patologia soffrono, sia perché possono esserci altri che hanno problemi ad andare in ospedale, perché magari sono attaccati alle macchine o ancora semplicemente perchè si è nello spettro autistico e si hanno difficoltà relazionali. Questo può sembrare banale ma chi si trova dentro un ospedale sa che è un terno al lotto perché ci sono numerosi percorsi, progetti ecc. tra cui orientarsi. Gli ospedali sono posti con percorsi molto ampi e diverse criticità e per chi ha questo tipo di problemi, possono diventare praticamente inaccessibili. In linea di massima ora, queste persone sono seguite per le loro patologie tramite assistenza domiciliare, ma come tutti, possono avere il bisogno di risolvere un’emergenza o di fare visite di routine che spesso non fanno. Io ho fatto, nel mio intervento, l’esempio sia della visita dal dentista che della visita ginecologica che, nella vita di ogni persona, prima o poi si devono affrontare. Invece, queste persone, nella maggior parte dei casi queste visite non possono farle perché non possono prenotare, non hanno il percorso adeguato per essere seguiti. Se, ad esempio, un ragazzo nello spettro autistico, si fa banalmente male ad una caviglia, non riesce a fare una risonanza, come facciamo tutti noi, per problemi relazionali. Questo progetto, invece, prevede un accesso facilitato, ovvero un percorso specifico che si possa affiancare nelle visite di routine per le cose da fare. Ad esempio se sono una malata di SLA e vado per eseguire il mio normale controllo trimestrale, in quella occasione, mi trovo già prenotato all’interno di quel percorso, anche il ginecologo il dentista ecc. Cioè tutte quelle cose che di media dovrei fare e che non faccio, in più tutto questo posso farlo accompagnata dal caregiver. Perché è ovvio che, in qualsiasi tipo di problema che noi abbiamo, la persona che più mi assiste nella quotidianità mi può aiutare a relazionarmi o a spiegare qual è il mio problema».
C’è poi una novità importante, come l’introduzione di una figura come il “patient manager”, quale sarà il suo ruolo all’interno della struttura sanitaria?
«Il suo ruolo è proprio quello di facilitare tutto il percorso che ho appena descritto. Cioè quello di assistere tutte quelle persone che hanno difficoltà in questo senso: ad esempio, mi vengono in mente anche gli anziani malati di Alzheimer, che hanno ugualmente problemi relazionali. Quindi come fanno tutte queste persone ad avere una relazione che consenta loro anche semplicemente di prenotare una visita? Vengono affidate al patient manager, che considera quella persona non una dei tanti pazienti ma il suo paziente di riferimento. E’ come se fosse il medico di famiglia all’interno dell’ospedale. Chi ti conosce all’interno della struttura ospedaliera».
Lei ha parlato di persone con “disabilità non collaboranti”, a cosa si riferisce di preciso? E’ forse un termine ombrello, volutamente generico, che racchiude tante situazioni diverse? E’ il senso di questa della legge, quello di proteggere proprio tutte le fragilità?
«Esattamente, non potevo utilizzare un solo termine, una sola patologia perché avrei escluso qualcuno. Per cui abbiamo utilizzato un’espressione, abbastanza diffusa e che è già entrata nel gergo comune di chi si occupa di disabilità, che non ha una caratteristica scientifica, proprio perché racchiude più patologie, più problematiche, da quelle neuromotorie, a quelle del neurosviluppo, passando per neurodegenerative, arrivando a quelle banalmente psichiche. Questa proposta di legge, dunque riguarda anche situazioni che per noi sono banali, come ad esempio, la semplice visita dal dentista ma che per alcuni tipi di disabilità possono risultare insormontabili».