Stefano Bonaccini e Lucia Borgonzoni in Emilia Romagna; Pippo Callipo, Jole Santelli e Francesco Aiello in Calabria. Sono i nomi dei principali aspiranti governatori che questa domenica, 26 gennaio 2020, si contenderanno nelle rispettive regioni la possibilità di una vittoria elettorale. Le difformità tra gli schieramenti in campo sia in Emilia sia in Calabria – i principali dei quali sono il centrodestra e il centrosinistra – rispecchiano gli equilibri nazionali, con tutto ciò che implica anche sui temi etici.
Particolarmente seguito, in questi giorni, è il testa a testa in Emilia Romagna, storica roccaforte «rossa» che, per la prima volta nella sua storia, complice il momento elettorale favorevole per la Lega di Matteo Salvini, potrebbe cambiare colore politico. Staremo a vedere. Il dato tuttavia certo – al di là delle ricadute nazionali che inevitabilmente porta con sé questo voto – riguarda lo scontro in corso, che non è soltanto politico. A fronteggiarsi, infatti, sono non solo due schieramenti, centrodestra e centrosinistra, ma due differenti – a tratti proprio opposti – modi d’intendere concetti fondamentali.
Si pensi a quello della famiglia, che per i progressisti è essenzialmente unione affettiva – a prescindere dal sesso dei componenti l’unione, secondo i diktat Lgbt -, mentre per il centrodestra rimane un concetto ancorato alla «società fondata sul matrimonio» così come scandita dalla nostra Costituzione. Un’altra divergenza valoriale netta è quella sul concetto di discriminazione. A questo proposito, il centrosinistra ha fatto capire come la pensa nel luglio dello scorso anno quando, dopo una discussione record di 39 ore, ha approvato tramite la propria maggioranza in seno all’Assemblea legislativa regionale una legge contro l’«omofobia»; una divisione diversa è quella del centrodestra, che invece considera in modo meno ideologico e unilaterale l’idea di discriminazione.
Non solo. Tra centrosinistra e centrodestra esiste una concezione ben distinta anche a proposito del concetto di vita nascente. Infatti, se in casa progressista si guarda con una certa disinvoltura al «diritto» di aborto – concepito come qualcosa d’intoccabile -, nel centrodestra la sensibilità è diversa e più legati alla tutela della vita nascente; e questo, oltre che dagli impegni elettorali siglati, è provato anche dai fatti. Emblematico, a questo proposito, è il caso di Sant’Agata Bolognese, un paese di 7.400 anime il cui sindaco, l’avvocato Giuseppe Vicinelli, ha istituito – per primo in Italia – un Assessorato alla Vita.
La vicinanza, sempre in Emilia Romagna, ai temi etici e ad una visione pro life degli stessi è inoltre provata dai candidati scelti. Infatti, sia nelle file della Lega (Matteo Montevecchi), sia di Fratelli d’Italia (Giovanna Bonazzi) e della lista Borgonzoni presidente (Laura Spaggiari) compaiono nomi di personalità che, non da oggi, sono molto vicine al mondo pro family e pro life. Tutto questo naturalmente non può essere un caso, e depone, appunto, a favore di una maggiore attenzione alla visione antropologica cristiana e del personalismo ontologico da parte del centrodestra.
Ne consegue come, al di là delle pur appassionate cronache di questi giorni, soprattutto in Emilia Romagna – ma anche in Calabria – si giochi una sfida che va molto oltre il mero piano politico. Una sfida tra chi sposa un’antropologia individualista basata sull’autodeterminazione assoluta e chi, invece, ritiene che siano le relazioni della famiglia e la dignità incomparabile della persona, dal concepimento alla morte naturale, ad avere l’ultima parola.
di Giuliano Guzzo