La grave denuncia contenuta negli articoli precedenti va presa molto sul serio. Per fortuna, però, esistono anche persone sane, che interpretano l’istituto dell’amministrazione di sostegno come dovrebbe essere: strumento di tutela per soggetti temporaneamente o permanentemente fragili a causa dell’età, di una malattia o di una disabilità, coniugando la cura personae con la cura patrimonii dell’assistito, valorizzando le sue capacità residue in ossequio alla sua dignità. Ne è esempio lo Sportello Salerno Prossimità che contribuisce a formare amministratori di sostegno consapevoli della preziosità del proprio ruolo e compito.
Carità e competenze, sguardo alla dignità e cura del vero bene della persona sono skills necessarie per un amministratore di sostegno. Introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004, l’istituto dell’amministrazione di sostegno è disciplinato dagli artt. 404-413 del codice civile e costituisce uno strumento di tutela dei cosiddetti “soggetti deboli”, unitamente agli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, previsti e disciplinati dagli articoli 414 e seguenti del codice civile.
L’amministratore di sostegno è una figura giuridica che ha assunto nel tempo un rilievo centrale nel nostro sistema di tutela giuridica delle persone temporaneamente o permanentemente fragili e che a causa dell’età, di una malattia o di una disabilità vedono la loro autonomia giuridica o materiale limitata o compromessa e quindi non sono in grado di prendere decisioni o di svolgere incombenze per se stesse.
Per mostrare che è possibile applicare la normativa in modo da valorizzare le capacità residue delle persone, anche se esistono rischi legati a interessi di altra natura, ne abbiamo parlato con Alessandro La Torraca, avvocato del foro di Salerno, e Andreina Bernabò, coordinatrice di uno sportello, Salerno Prossimità, pionieristico nel sud Italia nell’erogazione di corsi di formazione per amministratori di sostegno e nella costituzione di un registro comunale degli stessi per una rete di supporto sinergica e multidisciplinare al servizio sul territorio anche di persone senza fissa dimora.
Quale novità rappresenta per il nostro ordinamento giuridico l’introduzione dell’amministrazione di sostegno?
«L’amministrazione di sostegno si configura quale strumento giuridico di protezione che, come un abito su misura, è conformato per il singolo e specifico beneficiario sulla base delle peculiarità di ciascuna fattispecie concreta che, di volta in volta, è sottoposta all’attenzione e alla valutazione del giudice tutelare. L’amministrazione di sostegno si caratterizza per la sua non rigidità, nonché valorizzazione delle eventuali capacità residue del beneficiario della misura. Infatti l’art. 407 c.c. recita testualmente che «la persona che, per effetto di un'infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio». Tale figura ha avuto prevalente riscontro positivo perché, a differenza degli istituti giuridici quali la tutela e la curatela, è strutturalmente elastica e non invasiva, in quanto non tende a sottrarre o privare del tutto l’assistito delle residue capacità materiali o giuridiche, tutelando i suoi interessi e il suo benessere complessivo. Inoltre l’art. 405 c.c., con riguardo al decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, afferma che il giudice tutelare, oltre ovviamente alle generalità dell’interessato e dell’amministratore, deve indicare al suo interno la durata dell’incarico, tutti gli atti che l’amministratore di sostegno deve compiere nell’interesse del beneficiario, gli atti che il beneficiario può compiere senza l’assistenza dell’amministratore di sostegno; i limiti e le spese che l’amministratore potrà effettuare, nonché la periodicità con la quale deve riferire al giudice circa l’attività posta in essere in nome e per conto del beneficiario. Pertanto tale figura è dotata di poteri e facoltà, attribuiti dal giudice tutelare nel provvedimento di nomina nell’ambito dei procedimenti di volontaria giurisdizione, modulabili secondo la situazione specifica che si espandono o restringono sulla base delle effettive condizioni psicofisiche, affettive o relazionali dell’assistito. I poteri e i compiti assegnati nel provvedimento di nomina devono chiaramente essere rispettosi della personalità, identità e ambiente affettivo e sociale del beneficiario, tant’è che spesso la scelta di tale amministratore ricade nei soggetti appartenenti alla famiglia dell’assistito. A distanza di quasi 20 anni dalla sua introduzione, sia dallo studio della dottrina maggioritaria che dalla giurisprudenza prevalente, si evince che gli istituti giuridici dell’interdizione e dell’inabilitazione abbiano applicazione residuale rispetto al ricorso e all’utilizzo della misura dell’amministrazione di sostegno».
Quali caratteristiche umane dovrebbe avere un buon amministratore di sostegno?
«È opportuno che abbia una predisposizione alla carità, ma anche competenze specifiche, in quanto si tratta di un istituto giuridico che comporta notevoli responsabilità. Deve essere attento a ogni esigenza e segnale che proviene dall’assistito, disponibile all’ascolto e pratico. Per via della sua funzione multidisciplinare, nel caso in cui non sia individuato nella cerchia familiare o delle conoscenze, deve essere innanzitutto una persona dotata di empatia, in grado di comprendere i bisogni effettivi e le fragilità oltre che i punti di forza e le potenzialità del soggetto assistito. Perciò non deve essere solo un tecnico, capace di gestire le questioni di natura economica e patrimoniale della persona protetta, ma anche quelle relative alla salute, alle relazioni sociali e familiari, oltre che alle normali incombenze della vita quotidiana».
C’è un’esperienza di relazione positiva tra amministratore di sostegno e il suo assistito di cui siete a conoscenza e che desiderate raccontarci?
«Sicuramente ne esistono molte in tutta Italia e si basano proprio su una corretta instaurazione di un rapporto di fiducia reciproca, dimostrata anche nei comportamenti, tra amministratore di sostegno e beneficiario dell’istituto giuridico de quo. A tal proposito occorre ricordare anche che, almeno tendenzialmente, l’ufficio di amministratore di sostegno è svolto a titolo gratuito. In un caso specifico un amministratore è stato designato dal sindaco, in ragione di una situazione di conflitto tra i congiunti di una persona molto anziana e benestante, a seguito di un provvedimento di nomina esterna alla famiglia da parte del giudice tutelare. L’esistenza di un ingente patrimonio e di un forte contrasto tra i figli della beneficiaria, oltre che un’eccessiva invadenza nella vita quotidiana e nella gestione del patrimonio della beneficiaria, avevano scoraggiato precedenti amministratori di sostegno. Il nuovo amministratore ha deciso in primo luogo di sottrarre al figlio convivente con l’anziana madre la gestione degli affari, che rappresentava il motivo principale del conflitto tra i fratelli, riordinando la cura e gestione degli affari finanziari e creando un vero e proprio schermo tra il figlio convivente e il patrimonio. In secondo luogo, dopo aver ricostruito un minimo dialogo tra tutti i componenti la famiglia e dopo un lungo, faticoso e costante percorso di ascolto e di confronto, è riuscito ad avvicinare tutti alla madre, eliminando le più marcate situazioni di conflitto. L’anziana signora ha così potuto incontrare gli altri figli e tutti i nipoti vivendo i suoi ultimi mesi in un clima di maggiore serenità».
Quali possono essere dei vulnus di tale istituto giuridico?
«Come per ogni strumento giuridico vi è il rischio teorico di abuso nell’utilizzo. Tuttavia sussiste una ragionevole garanzia complessiva nell’applicazione concreta di tale istituto giuridico, essendo il dominus del procedimento un organo giudicante (il giudice tutelare) ed essendo disposto dall’art. 407 c.c. per la nomina di amministratore di sostegno che in ogni caso intervenga il pubblico ministero e che il giudice tutelare senta la persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e tenga conto i suoi bisogni e richieste, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona. Il tutto unitamente alle notificazioni, a quant’altro disposto dalle norme sostanziali e processuali in tema e alle verifiche periodiche predisposte dal giudice tutelare quali, per esempio, l’esigenza che il rendiconto periodico dell’amministratore di sostegno sia approvato dall’autorità giudiziaria. Inoltre non sono pochi i decreti dei giudici tutelari che non accolgono i ricorsi finalizzati alla richiesta dell’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno con la sua relativa nomina. La tendenziale gratuità di tale funzione e la difficoltà da parte dei giudici tutelari di affiancare all’amministratore altre figure se da un lato appare coerente con una figura individuata nella cerchia familiare, in ragione di un comune senso di equità e ragionevolezza, non appare invece funzionale nei casi in cui è sconsigliata la prima soluzione, e soprattutto nel caso di incarichi particolarmente complessi che richiedano notevole impegno, specifiche competenze e responsabilità nella cura della persona o nella gestione patrimoniale. Infine spesso si manifesta la difficoltà di una interlocuzione con il giudice tutelare, occupato nell’affrontare un carico di lavoro ingente, che a volte si impone come costante e frequente».
Quali i rischi emersi finora nell’applicazione della legge?
«Il rischio più significativo è legato alla limitazione della capacità decisionale dell’assistito, quando cioè l’amministratore di sostegno prende decisioni senza consultare la persona beneficiaria della misura o non ne rispetta le preferenze. Inoltre anche la mancanza di trasparenza, in assenza dell’obbligo di pubblicare i bilanci degli amministratori di sostegno, può rendere difficile il monitoraggio della gestione finanziaria. Talvolta si palesa anche una difficoltà nell’individuare l’amministratore di sostegno adeguato per la persona assistita, soprattutto se non ci sono parenti o amici disponibili ad assumere questo ruolo. Infine potrebbe esservi il rischio di un’insufficiente preparazione dell’amministratore di sostegno a svolgere l’incarico. Di qui è opportuno essere adeguatamente consapevoli del ruolo, degli obblighi e delle responsabilità cui si va incontro che non devono essere banalizzati. È perciò consigliabile a tutti coloro che intendono accettare la nomina ad amministratore di sostegno - sia quando la scelta a opera del giudice tutelare ricada nell’ambito familiare, sia quando avvenga extra moenia - di seguire preventivamente corsi di formazione sulla tematica con particolare riguardo ai profili normativi e, successivamente, di partecipare a corsi di aggiornamento, soprattutto se si è privi di competenze tecniche specifiche».
Quale retroterra di pensiero è alla base di tale istituto?
«La legge sull’amministrazione di sostegno è basata su una serie di principi - quali autonomia, inclusione e partecipazione sociale, solidarietà e personalizzazione dell’intervento - che riflettono l’evoluzione della concezione dei diritti umani e della dignità della persona, in particolare quella più fragile e vulnerabile, in un contesto di rispetto e valorizzazione delle diversità individuali. Se si studiano i lavori preparatori si evince come si sia voluto concentrare l’attenzione sul soggetto potenzialmente beneficiario della misura scongiurando che egli sia “annullato in toto”, consentendo cioè all’amministratore di sostegno di compiere con il beneplacito dell’assistito o in sua vece soltanto quegli atti previsti dal giudice tutelare nel decreto di nomina. Così si fa in modo che le “capacità” residue del beneficiario siano prese in considerazione, sostenute e valorizzate con le opportune attività previste dal decreto di accoglimento al punto che, qualora le condizioni dell’assistito dovessero modificarsi in meglio, è possibile revocare o modificare tale misura di protezione, perché l’amministrazione di sostegno è, per l’appunto, un “abito su misura” sempre suscettibile di modifica. Al centro dell’attenzione deve esservi il beneficiario, e non soltanto o prioritariamente l’amministrazione del suo patrimonio finalizzata alla conservazione dello stesso. L’art. 410 c.c. recita: “Nello svolgimento dei suoi compiti l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”. Ancora, l’articolo 407 c.c. dispone che “il provvedimento deve essere adeguato alle condizioni del beneficiario e non deve togliere al beneficiario più capacità di quanto non occorra a garantire la protezione degli interessi personali e patrimoniali dello stesso, ma deve dargli l’assistenza di cui ha bisogno per le sue esigenze esistenziali”. Quindi cura personae e cura patrimonii del beneficiario devono sempre essere congiunte».
Come potrebbe essere migliorata la legge al fine di tutelare adeguatamente la dignità, il diritto alla vita e alla libertà della persona assistita?
«Nel diritto tutto è suscettibile di cambiamento e tutto è migliorabile, ma non dimentichiamo che un esatto adempimento di obblighi e/o doveri dipende sempre prima di tutto dalla correttezza personale di ciascuno e coinvolge la dimensione etica. In questa prospettiva una formazione dedicata per amministratori di sostegno si rivela particolarmente proficua per implementare la consapevolezza dei diritti e delle esigenze della persona assistita e per gestirne le situazioni in modo empatico, nel rispetto dei suoi bisogni e della sua volontà. È infatti necessario tutelare e promuovere la libertà dell’assistito con adeguati programmi di supporto alla sua autonomia e al suo inserimento sociale, sviluppando anche una collaborazione virtuosa con i servizi sociali territoriali. Infine sono altresì necessari una maggiore trasparenza e un controllo attento delle diverse attività realizzate dagli amministratori di sostegno, affinché tale compito sia svolto conformemente al principio ispiratore della norma, ossia nell’esclusivo interesse della persona in particolare condizione di fragilità».
Già pubblicato, a firma di Fabio Piemonte, sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 120 - Luglio/Agosto 2023