Una storia agghiacciante, quella che raccontiamo oggi, dai contorni foschi e non ancora ben definiti, sulla quale la procura di Catania ha aperto un’inchiesta per «istigazione al suicidio». È la storia di Alessandra Giordano di Paternò, morta il 27 marzo scorso, in una villetta della zona industriale di Pfäffikon, vicino Zurigo. Si tratta della clinica svizzera Dignitas, dove viene praticata da molti anni l’eutanasia e che ha visto anche il passaggio di Dj Fabo, arrivato lì e mai più tornato.
Alessandra, tuttavia, non aveva una sofferenza insostenibile dovuta a qualche terribile malattia: era depressa e da qualche tempo soffriva di una nevralgia cronica: la sindrome di Eagle. Potrebbe essere bastato questo per indurla a fuggire dalla sua terra, senza nemmeno avvisare i suoi familiari e avviarsi in totale solitudine a intraprendere una scelta così drammatica e definitiva per la sua vita? È ciò su cui sta indagando la procura di Catania, come rivela il quotidiano La Verità, perché il sospetto che qualcuno possa aver infierito sulla sua coscienza alterata è davvero forte. Suo fratello parla di lei su La Verità descrivendola come «una donna forte, determinata, sicura di sé, intraprendente, solare. Lavorava nella scuola primaria. È andata regolarmente in classe fino a due anni fa. Amava il suo lavoro. Gli alunni e i nipoti erano la sua vita. E anche lei sognava una famiglia e dei figli».
Tuttavia l’inizio del suo declino psicologico inizia nel 2008, dopo la morte del padre, evento che la fa sprofondare nella depressione tanto da farle abbandonare il suo lavoro di insegnante, limitandosi a passare le giornate a letto. Con questo stato d’animo non certo “lucido” comincia ad accarezzare il pensiero della morte assistita. Un’idea impensabile per i suoi familiari con cui ne parla. Finché il 25 marzo scorso un conoscente incontra, per caso, Alessandra all’aeroporto di Catania e avvisa la famiglia. I familiari dopo numerose telefonate a vuoto capiscono che è volata in Svizzera e tentano di riportarla a casa. Viene allertato il ministero degli Esteri, suo fratello Massimiliano manda una diffida alla Dignitas, allegando l’ultimo certificato medico: «Mia sorella non si trova nelle facoltà mentali, allo stato attuale, per prendere una simile decisione. Ci riserviamo, qualora doveste procedere, di adire a vie legali» ma non riceve nessuna risposta. Allora si reca personalmente in Svizzera.
All’aeroporto di Zurigo, su suggerimento della Farnesina, si rivolge alla Polizia locale che promette di contattare la Dignitas, ma ciò non avviene. Un’ultima telefonata di Alessandra ai suoi conferma l’inesorabilità della sua decisione: persino il conto della clinica, di circa 10.000 euro, è già stato saldato. Il suo passaggio dalla vita e alla morte viene “pianificato” in soli 3 giorni: arrivo lunedì 25 marzo, sistemazione in albergo il martedì, mercoledì incontro col dottore e giovedì arrivo nella clinica della morte per non tornare mai più. Sconcertante il modo in cui vengono “avvisati” i parenti, dopo aver fatto tutto il possibile per salvarla: alla famiglia infatti verranno recapitate le sue ceneri con un biglietto d’addio.
Ma uno degli aspetti più inquietanti della vicenda e su cui sta indagando la Procura di Catania è il rinvenimento, tra i documenti di Alessandra, di un articolo di Emilio Coveri, presidente di Exit, un’associazione italiana “per il diritto a una morte dignitosa” in stretto rapporto con la Dignitas. Un articolo che è un dettagliatissimo racconto, risalente al gennaio 2018, sul periodico inviato ai soci di Exit, in cui Coveri riferisce di una telefonata ricevuta da una certa Alessandra di Paternò. «È sola e i suoi parenti non accettano che lei voglia andare a morire in Svizzera», si legge sull’articolo in questione. «Ogni tanto lei mette davanti il fatto che è credente» ma dopo una lunga telefonata con Coveri, pare cambiare idea e non tentennare più. Il presidente di Exit chiosa: «Mi sento felice. Ha prevalso la mia teoria. La vita è nostra, di nessun altro. Tantomeno di quel Dio che vuole farci soffrire inutilmente e di tutta la sua banda».
Per non parlare poi dell’incredibile scambio di mail, finito agli atti, tra la Dignitas e Alessandra. Come la comunicazione di un anno fa in cui la clinica chiede alcuni documenti alla donna e il chiarimento su un referto medico che attesterebbe che il dolore legato alla nevralgia sarebbe del tutto sparito. Insomma uno stato di salute buono che non giustificherebbe in alcun modo il suo disperato gesto. Pertanto la Dignitas sollecita Alessandra a farsi dichiarare per iscritto dal suo neurologo «che il dolore purtroppo è tornato o riapparirà imperterrito». Una comunicazione sospetta al punto da aver portato la Procura di Catania, subito dopo la morte della donna, a ordinare il sequestro dei suoi beni perché i pm temono che abbia intestato tutti i suoi averi alla clinica stessa.
Una vicenda terribile che ci auguriamo possa influire sulla discussione parlamentare sull’eutanasia, proposta dai 5 stelle, dato che con la eventuale legalizzazione dell’eutanasia è in ballo il futuro di ciascuno di noi che, a quanto pare, rischia di essere in mani sempre meno sicure.
Manuela Antonacci