«Dove vengono messe in atto le cure palliative, il ricorso al suicidio assistito o all’eutanasia cala drasticamente. Si ricorre a questa pratica per non soffrire: se si toglie il dolore, la richiesta si riduce di 10 volte». Sono i risultati - carichi di vita, speranza e della prova di quanto sia importante tutelarla - che arrivano dallo studio “Data and Trends in Assisted Suicide and Euthanasia, and Some Related Demographic Issues”, pubblicato su “Population and Development Review”, di cui è autore con Asher Colombo, sociologo dell'università di Bologna, e a darne notizia è stato Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia dell'università di Padova, tramite il portale di Adnkronos Salute.
«La popolazione - ha spiegato sempre Dalla Zuanna - non è tanto favorevole all’eutanasia per esercitare un diritto, quanto piuttosto per porre fine a delle sofferenze. Ed è così in tutto il mondo occidentale». Sulla carta in realtà le opinioni sarebbero diverse perché «due terzi si dichiarano favorevoli a eutanasia o suicidio assistito. Ma quando si chiedono le condizioni, solo una piccola minoranza è favorevole per esercitare il “diritto individuale e non condizionato”.
Dalla Zuanna specifica poi che lo studio (si può consultare qui) ha l’obiettivo di «indagare soprattutto se c'è legame tra legislazione e utilizzo di eutanasia e suicidio assistito - spiega Dalla Zuanna - e, come seconda cosa, se sono utilizzati in modo differente in base a diverse categorie: sesso, età, causa della richiesta, condizione socio-economica. Il terzo punto - prosegue il docente - riguarda il collegamento tra il ricorso a queste pratiche e le cure palliative». I risultati relativi a 13 Paesi, di cui 8 in Europa, dove c'è una forma legale di eutanasia, mostrano che «il ricorso a queste pratiche è fortemente dipendente dal tipo di legislazione. Dove è considerato come esercizio della libertà del singolo (Olanda, Belgio e Svizzera e Canada), che può decidere quel che vuole, il ricorso è molto elevato: tra le morti non improvvise si arriva anche al 5% della popolazione. Dove invece, come peraltro dice anche la sentenza della Corte costituzionale italiana, il ricorso è condizionato, per esempio, alla presenza di dolori inestinguibili e dopo aver utilizzato tutti gli strumenti medici per curare il dolore, il ricorso è 10 volte inferiore».
A differenza del suicidio definito “comune”, dove le drammatiche motivazioni sono soprattutto legate a questioni economiche, disperazione o perdita del lavoro, della salute e dei rapporti con le persone, «nel suicidio assistito - spiega sempre Dalla Zuanna - è legato già al desiderio di non essere un peso per la famiglia, gli amici o i caregiver, come indica il 36% dei 10mila canadesi che, rileva lo studio, hanno scelto l’eutanasia nel 2021 e che, nel 17% dei casi, hanno indicato tra le motivazioni “l’isolamento o la solitudine”». Una prova, anche questa, di come una possibile soluzione per non ricorrere al suicidio assistito sia l’accoglienza, la prossimità e la vicinanza ai fragili e malati.
Infine, il terzo e più importante dato della ricerca, definito così dallo stesso professore Gianpiero Dalla Zuanna. I dati, infatti, mostrano come «dove vengono messe in atto le cure palliative, il ricorso al suicidio assistito cala drasticamente. La pratica è quindi fatta per non soffrire: se si toglie il dolore, la richiesta di eutanasia si riduce al minimo». Secondo il docente dell’Università di Padova, però, «il Italia abbiamo un problema di accesso a queste cure. L'uso della morfina, ad esempio, è la metà rispetto alla Germania. Solo il 36% delle persone con cancro, quindi uno su 3, ha accesso alle cure palliative in Italia». Questo dato diventa ancora più pesante se si considera che queste terapie, «secondo la letteratura medica, dovrebbero essere estese a moltissime altre patologie - come le neurodegenerative - perché non sono una cura puntuale, ma una presa in carico generale del paziente, dal momento in cui non si riesce a intervenire con cure risolutive. Si tratta allora di eliminare il dolore, la sofferenza, anche prima della fase finale della vita».
Alla luce di questi risultati e proprio il docente che manda un appello: «bisogna investire» nelle cure palliative affinché il suicidio assistito non diventi una «scorciatoia per porre fine alla sofferenza. Se fatte bene, con una presa in carico precoce, lo dimostrano vari studi, le palliative - spiega il professore - sono anche meno costose del ricorso al suicidio assistito».