Il “transpecismo” è l’ultima frontiera del “transumanesimo”: si tratta del forte legame di parentela tra la teoria gender e le sue derivazioni ultime ed estreme, ovvero coloro che non si sentono né uomini, né donne ma nemmeno appartenenti al genere umano.
É l’esaltazione della volontà, della tirannia, del desiderio che pretende di creare una realtà inesistente, tirannia perché parliamo di una volontà che si impone sull’intelligenza che invece per sua natura e vocazione è chiamata a riconosce il reale per quello che è. Un delirio di onnipotenza che ci spinge a voler realizzare, a tutti i costi, tutto ciò che l’immaginazione e i sensi vogliono.
Nel caso specifico, stiamo parlando della folle storia di Eva Tiamat Medusa, originariamente un ragazzo di bell’aspetto, divenuto, in seguito a numerosi interventi, la prima donna trans-specie unica nel suo genere. Unica perché al protagonista di questa assurda storia, non è bastato cambiare sesso ma, non riconoscendosi nel genere umano, ha deciso di deturparsi oltre misura il viso, arrivando a farsi tagliare le orecchie e il naso, a rendere la sua lingua biforcuta e a farsi impiantare due corni sulla fronte, pur di poter assumere l’aspetto da drago, tanto desiderato e per il quale è arrivato a spendere ben 42.000 sterline.
Ma ciò che sconvolge ancora di più è il pensiero che ci siano stati chirurghi che abbiano assecondato ogni singola pazzia di quest’uomo, senza battere ciglio e senza conoscere la sia triste storia che lo ha portato a rasentare la follia.
Tutto, infatti, è iniziato con un evento tragico: quando alcuni anni fa, l’uomo scopre di avere l’HIV. Subito dopo la diagnosi decide di non aver più voglia di vivere come un essere umano e sconvolge la sua vita.
Innanzitutto lascia il posto di lavoro da vicepresidente di una banca e poi comincia la sua incredibile trasformazione per assumere le sembianze di un drago. Ma perché proprio di un drago? E’ qui il nocciolo di tutto: in una sofferenza senza fine, in un profondo vuoto esistenziale, umano affettivo che, evidentemente è tornato a riemergere in tutta la sua violenza, nel momento della sua esistenza più difficile.
L’uomo che oggi si fa chiamare Eva, ha vissuto una vita di dolore: abbandonato all’età di 5 anni, addirittura nel deserto, ha dovuto affrontare, in un’età tenerissima, la solitudine e tutti i pericoli di un ambiente ostile. E nella sua disperata mancanza di relazioni e di affetti ha finito per trovare nei serpenti che gli strisciavano intorno, una sorta di compagnia, una figura genitoriale che non aveva più.
Per questo, oggi dichiara di identificarsi di più nei rettili che negli esseri umani.
Viene spontaneo chiedersi se almeno una volta, prima di sottoporsi alle tante operazioni che l’hanno così tremendamente sfigurato, abbia incontrato un medico con un po’ più di coscienza degli altri, che si sia posto il problema di indirizzarlo da uno psicologo. Perché la questione di fondo è che, a furia di togliere paletti e di giustificare tutto in nome dell’autodeterminazione, stiamo eliminando, insieme alla distinzione tra bene e male, anche quella tra normalità e follia.
di Manuela Antonacci