23/09/2019

Medico canadese: «Voi italiani non meritate l’eutanasia!»

Di anno in anno il suicidio assistito e l’eutanasia mietono sempre più vittime, anche non consenzienti. A primeggiare in questa lugubre classifica, vi sono – inutile dirlo – Belgio, Olanda e Canada. È proprio canadese è il professor William Toffler, docente emerito di medicina di famiglia alla Oregon Health & Science University e membro del gruppo pro life Physicians for Compassionate Care. Intervenuto come relatore alla conferenza “Eutanasia e suicidio assistito: una sfida globale”, in occasione della quale è stato intervistato da Pro Vita & Famiglia, Toffler ha osservato che la cultura di morte, tra le altre cose, può diventare un forte disincentivo al progresso medico-scientifico.

 

Professor Toffler, a che punto è il Canada in fatto di eutanasia e suicidio assistito?

«Ritengo che le problematiche arrecate dal suicidio assistito siano sempre più sotto gli occhi di tutti. Milioni e milioni di dollari vengono spesi per la promozione di questa pratica in tutti i nostri stati. Sfortunatamente abbiamo dei governi molto “liberal”, senza una vera opposizione al loro punto di vista. La stampa manifesta simpatia per quanti soffrono alla fine della loro vita, quando, in realtà, il dolore fisico non è la principale motivazione nella richiesta del suicidio assistito. Quindi è una tematica che viene illustrata all’opinione pubblica in maniera molto distorta. La sofferenza dovrebbe sollecitare un aiuto per i sofferenti ma questo non avviene. Il pensiero di molti è: “La vera soluzione per la sofferenza è mettere fine alla vita”. Questo è molto triste, perché mai come al giorno d’oggi abbiamo mai avuto così tanti mezzi a disposizione della scienza medica. Mio padre è un esempio lampante di come i progressi della medicina possano salvare la vita: un giorno ha avuto bisogno di un intervento chirurgico d’urgenza, senza il quale sarebbe morto e lo hanno tenuto in coma artificiale per undici giorni. In questo modo è rimasto completamente insensibile al dolore chirurgico e non ha avuto minimamente idea che lo stessero operando. Abbiamo a disposizione queste tecnologie mediche che possono esserci utili e andiamo a sopprimere i malati con un’overdose di farmaci come fossero animali? Stanno iniziando a trattare in modo diverso i pazienti, a seconda dell’età: io stesso sto invecchiando e voglio sperare che un domani, rispetto a un ventenne, non sarò trattato come un paziente di serie B, perché avrò 80 o 90 anni. Con il suicidio assistito legale emerge una vera e propria discriminazione. Come puoi trattare le persone equamente quando stabilisci quali vite valgono la pena essere vissute e quali no? È ormai facile trovare in giro gente che dice: “Oh, beh… fatti questa overdose e ucciditi”. Lo stesso ragionamento si fa, pensando ai disabili: quando vedono una persona con menomazioni, a cui non funziona qualche organo, molti pensano: “Io non potrei vivere così, meglio che muoia…”. E questo è veramente agghiacciante».

Non ritiene che dare un credito così grande alla cultura eutanasica possa dequalificare e disincentivare notevolmente il progresso medico-scientifico?

«Assolutamente sì. Quando tu soffri di un qualunque problema medico in un paese dove è legale il suicidio assistito, diventa un problema che coinvolge tutta la società. La soluzione alla sofferenza diventa il mettere fine alla vita del sofferente. Il problema è che permettere a una vita di proseguire è visto come troppo costoso. Negli anni ’90, le cure contro l’HIV si erano rivelate universalmente fallimentari, al punto che a San Francisco alcune decine di malati di AIDS si erano fatti sottoporre ad eutanasia (che peraltro in California, a quei tempi, era illegale). Eppure, un paio d’anni dopo, grazie a Dio, si sono diffuse le terapie retrovirali, che non cancellano la sieropositività ma comunque consentono una vita pressoché normale».

In Italia domani è il giorno in cui scade l’ultimatum della Corte Costituzionale al Parlamento per legiferare sul fine vita. Che messaggio vuole lanciare al nostro Paese?

«I malati italiani, come in ogni altro paese, meritano di ricevere cure, non di morire. È importante che gli italiani continuino a ricevere cure adeguate, come è stato in passato. Penso alla storia italiana, ai primi ospedali, alla cura dei poveri, dei malati, dei sofferenti: questa è la vostra tradizione e va preservata. Fare la fine dell’Olanda dove ormai una morte su quattro è per eutanasia è qualcosa che voi italiani non meritate. La vostra è una storia di splendida gente che ama la vita, la rispetta e la valorizza. Il rischio per il vostro paese è incamminarsi verso il destino del mio paese, del Belgio o dell’Olanda dove molti pazienti ricevono l’eutanasia contro la loro volontà. In Olanda vi sono persone anziane che girano con una sorta di carta d’identità su cui scrivono: “Se sono malato non uccidetemi”. Una volta ho visto un fumetto che mostra due pazienti in terapia intensiva; uno, prima di appisolarsi, chiede all’altro: “Fai attenzione alla mia PEG che qualcuno potrebbe venire a togliermela…”. Questa è la mentalità che si è diffusa in Olanda tra i pazienti che non vogliono il suicidio assistito. Spero in Italia, non si faccia questa fine, gli italiani sono persone splendide, non lo meritano, è qualcosa a cui non dovrebbero mai aderire».

 

di Luca Marcolivio

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