In Sudafrica dire la verità sull’aborto potrebbe creare problemi sul posto di lavoro, persino nel caso di un medico, che, in quanto tale, ha un lavoro a strettissimo contatto con la scienza. Immaginate che un professore di matematica venga licenziato per aver affermato che due più due fa quattro. Quanto accaduto a Jaques De Vos non è molto diverso.
Sin dai tempi di Ippocrate, infatti, la medicina ha lo scopo di curare le persone, guarire i mali e salvare le vite. Oggi, invece, accade che, se un medico tenta di salvare la vita di una persona, evitando, tra l’altro, possibili e gravi rischi per la salute di un’altra, subisca provvedimenti disciplinari.
Così, il trentaduenne tirocinante De Vos, a un passo dal conseguimento della laurea in medicina, avrebbe «violato l’autonomia del paziente con le sue dichiarazioni anti-aborto». Pertanto, oltre ad aver perso il lavoro, gli è stato vietato di esercitare la professione medica, come spiega un articolo di Life News.
Il tutto solo per aver detto a una donna che il feto è un essere umano e che, dunque, l’aborto è un omicidio. Ma, precisiamo, non si tratta solo di semplici “dichiarazioni anti-aborto”, come se fossero opinioni personali di un medico pro life. La quasi totalità dei biologi, infatti, afferma con certezza che nel concepimento ha inizio la vita di un essere umano e tale affermazione è condivisa anche dai principali manuali di letteratura medico-scientifica.
Come potrebbe, dunque, un medico, affermare il contrario? Sarebbe, piuttosto, questo un tradimento della sua professione: indurre una donna ad abortire, causando, così, la morte di suo figlio e possibili rischi per la sua salute, compresa la stessa morte.
Insomma, un mondo in cui chi dice la verità sull’aborto ne paga un caro prezzo può mai essere considerato libero e realmente evoluto?
Luca Scalise