27/08/2019

Morto dopo 31 anni di coma. I genitori non hanno mai voluto l’eutanasia: «Ci bastava il suo sorriso».

La vita di Ignazio Okamoto, 53 anni, si è spenta qualche giorno fa, dopo 31 anni di coma a seguito di un gravissimo incidente stradale che lo vide coinvolto nel 1988.

“Cito”, come lo chiamavano tutti, aveva 22 anni quando rimase coinvolto in un incidente sull’autostrada A22 all’altezza di Nogarole Rocca. Da quel momento i genitori lo hanno sempre accudito in casa, a Collebeato, un piccolo paesino della provincia di Brescia, arrivando anche a lasciare il lavoro.

Papà Hector, che oggi ha 77 anni, messicano di origine nipponiche, ha fondato al Cus di Brescia la prima squadra di baseball ed è rimasto al fianco del figlio fino alla fine e già due anni dopo quella tragica notte (tra il 19 e il 20 marzo ’88) decise di lasciare il lavoro. «Era necessario, non potevamo assumere un infermiere e abbiamo scelto di non lasciarlo in una struttura», racconta Hector, come riporta un articolo del Corriere della Sera. «Non eravamo preparati, ma sono diventato cuoco, infermiere e anche fisioterapista per mio figlio», nonostante «i primi anni siano stati molto duri, la vita ci è cambiata completamente». Il padre di Cito spiega che alcune volte, negli anni, il figlio ha dato segnali di reazione. «Non so», racconta «se si accorgesse di qualcosa, a volte sembrava piangere, ma a me bastava che mio figlio sorridesse».

I genitori di Ignazio Okamoto non hanno mai preso in considerazione, neanche per un istante, la possibilità di non accudire il figlio o, peggio, di farla finita. Per Hector e Marina è sacrosanto «portare il massimo rispetto per chi ha deciso, in passato, di percorrere strade diverse», ma loro hanno deciso di agire facendo «ciò che per noi era naturale, perché ce lo sentivamo dentro». I due, inoltre, stavano già pensando a cosa fare per assicurare l’assistenza al figlio anche quando loro non ci sarebbero più stati. In passato, infatti, un prezioso aiuto alla famiglia Okamoto è arrivato dalla Caritas e da molti singoli volontari.

Una storia, quella di “Cito” e della sua famiglia che porterebbe a elogiare i genitori come dei veri e propri eroi. Un aggettivo che però Hector ha sempre rifiutato: «Non lo merito, mi ha sempre guidato solo l’istinto e il cuore».

Salvatore Tropea

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