Che la vita di un essere umano abbia inizio nel concepimento lo afferma la scienza. Dare la morte a costui attraverso l’aborto è purtroppo legalmente possibile in molti Paesi. Per questo, l’obiezione di coscienza è un diritto fondamentale del personale sanitario che si rifiuta di prendere parte a un intervento come questo, che tradisce profondamente la vocazione medica a curare e l’antico principio secondo cui anzitutto non si debba nuocere ad alcuno: “Primum, non nocere”.
Eppure, tale diritto è fortemente contrastato da chi pretende che tale “prestazione” sia erogata da tutto il personale coinvolgibile, senza che alcuno possa obiettare.
Un articolo di LifeSite News spiega che la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe dichiarato “inammissibile” la domanda di indennità di disoccupazione delle due ostetriche svedesi che erano state penalizzate per essersi rifiutate di praticare aborti.
«Il diritto umano alla libertà di coscienza, ha dichiarato il tribunale, è superato in Svezia dall'obbligo di un dipendente di fare tutto ciò che un datore di lavoro gli richiede», leggiamo. Secondo questa logica, anche se un medico ritiene (in pieno accordo con la scienza) che l’aborto sia un omicidio dovrebbe essere costretto a prendervi parte o rischia il posto di lavoro. Ci rendiamo conto di quanto sia turpe tutto ciò: essere obbligati a compiere un atto del genere?
In sempre più parti del mondo crescono le persecuzioni degli obiettori di coscienza e questa è una violenza vergognosa: non si può costringere un operatore sanitario a ledere il diritto alla vita di un essere umano, a contribuire attivamente affinché muoia.
Chi si riempie la bocca di parole come “diritti”, “libertà”, “autodeterminazione” e vi associa l’aborto, dovrebbe essere il primo a rispettare la scelta dei medici, infermieri e farmacisti obiettori, invece di privarli di questo loro fondamentale diritto. Alla faccia della democrazia e della tolleranza di cui tanto si sentono paladini.
di Luca Scalise