E’ lecito definire alcune vite “sbagliate”? E’ una domanda la cui risposta, sebbene a noi appaia scontata, in realtà non lo è per nulla. Infatti, come ci dimostrano i fatti di cronaca, oggi, questo concetto che si rifà direttamente a quello di “dignità della vita” (come se ci fossero vite “degne” e “indegne”, secondo quale parametro, poi, non è dato di sapere...) viene spesso invocato sia per giustificare aborti operati in seguito a diagnosi di malformazioni fetali ma anche e, spesso soprattutto, per accelerare il fine vita e non sempre di pazienti estremamente sofferenti o in condizioni critiche dal punto di vista fisico, con la “dolce morte” (che in realtà, nessuno di quelli che l’ha subita è mai tornato indietro a dirci quanto effettivamente “dolce” sia!).
Ma, ultimamente, la Corte di giustizia federale tedesca si è pronunciata chiaramente a riguardo, con una sentenza non da poco, che, anzi, costituisce un importante precedente nel campo della salvaguardia della vita e della libertà personale, anche per i pazienti più fragili e indifesi. La decisione della Corte di giustizia ha preso le mosse da un caso accaduto nell’aprile 2019 che ha visto come protagonista un paziente affetto da demenza senile, che veniva alimentato attraverso un tubo inserito nello stomaco. Suo figlio ha cercato di convincere il medico e la casa di cura, a rimuovere il sondino, ma senza successo. Tuttavia, l'uomo è morto nel 2011 per polmonite, dunque, per morte naturale.
Non contento, il figlio ha fatto causa per danni, sostenendo che la mancata interruzione della nutrizione avrebbe causato sofferenze prolungate, al genitore. Ha chiesto ben € 100.000 di risarcimento per la “sofferenza”, a suo parere arrecata e € 50. 000 come indennità. Una richiesta incredibilmente folle e contraddittoria, se si pensa che siamo di fronte ad un tipo di “dolore” che, di fatto, non può mai essere peggiore della morte.
Il caso è arrivato fino alla Corte Federale che ha stabilito che non vi era alcun danno morale. La ragione è che, come sottolineato nella sentenza, nessun atto o omissione da parte del medico avrebbe potuto migliorare la vita del paziente in questa fase. Quindi, paradossalmente, il presunto danno morale rivendicato, era la vita stessa del fragile padre. Ma la Corte ha sentenziato, sottolineandolo, che è impensabile considerare la vita, anche se afflitta dalla sofferenza, come un “danno”.
La decisione presa dalla Corte di giustizia costituisce un importantissimo precedente, in quanto serve, senz’altro a mettere degli importanti limiti alla legge sul fine vita, dato che in Germania, da poco è possibile ricorrere al suicidio assistito per mezzo di terzi. Quanto meno, in questo modo, speriamo venga finalmente posto un minimo argine a veri e propri omicidi su commissione, spesso sotto le mentite spoglie di una falsa pietas che ormai, con estrema nonchalance si praticano in molti “civilissimi” stati europei.