Ma l’eutanasia è legale o no in Italia? È diventato lecito porsi questa domanda sotto una serie di profili, da quello basilare, cioè etico, a quello più puramente giuridico. Si fa presto a trovare una risposta, basta usare un motore di ricerca: sulla base di due articoli del Codice Penale (il 597 e il 580), uccidere una persona consenziente ad essere uccisa o istigare o aiutare qualcuno a commettere un suicido sono considerati entrambi reati punibili con reclusione da sei a quindici anni. Se è così, perché allora la signora Anna (nome di fantasia), a Trieste, lo scorso 28 novembre è morta come conseguenza della somministrazione di un farmaco letale, con l’assistenza di un medico volontario, il tutto fornito dal Sistema Sanitario Nazionale? E non è nemmeno una questione relativa alla sola signora Anna: essa infatti non è la prima, ma già la quinta persona in Italia che muore con l’assistenza dello Stato, in vigenza di due articoli del Codice Penale che vietano quel tipo di assistenza. Stato assassino? Forse. Per sentenziarlo occorre guardare a un altro evento svelato di recente, forse ancora più emblematico.
Ieri, infatti, è emerso il caso di un uomo di Piombino il quale, affetto da una malattia invalidante, nel gennaio scorso ha ottenuto soddisfazione alla sua richiesta di morire, nuovamente rivolgendosi al Sistema Sanitario della sua regione. La ASL Toscana Nord Ovest, come fa stampare la stampa nazionale e in particolare Il Tirreno, «in assenza di un intervento legislativo», si è infatti data un regolamento tutto suo che consente di accedere al servizio mortale. Il regolamento prevede la messa a disposizione di un anestesista che assista il suicida, ma non dice nulla sulla fornitura dei farmaci letali necessari e di eventuale strumentazione. La notizia, dunque, svela che è stata la famiglia stessa del suicida a procurarseli, per poi consegnarli al domicilio del morituro, dove un medico della ASL ha interpretato il nuovo ruolo che la distopia contemporanea sta iniziando a riservare al suo mestiere, quello del soppressore di vite umane. La deriva però non sta solo lì, ma in tutto il contesto: per la prima volta in Italia, infatti, possiamo dire di essere davanti a una forma di eutanasia fai-da-te, con attributi che la rendono perfettamente sovrapponibile al tipo di mondo in cui viviamo.
Ci si pensi per un attimo: un regolamento qualunque di una ASL qualunque diventa sovraordinato al Codice Penale dello Stato. Non diversamente le “regole della community” di un qualunque social network regolano la permanenza o meno di un utente all’interno dello stesso, al di sopra delle leggi del paese in cui quel social network viene usato. Se su Facebook scriviamo un post contro l’aborto, rischiamo l’espulsione, anche se la legge italiana ci consente di esprimere le nostre idee. Non se lo si fa su altri temi. Come funziona nel “nuovo mondo” virtuale, così comincia a funzionare anche nel mondo reale, insomma. E il parallelo può continuare: è diventata normale consuetudine acquistare cose sul web, per vedersele recapitare alla porta il giorno dopo. Magari è un TV-color, un paio di cuffiette per ascoltare musica o un pigiama, ma magari è anche il farmaco con cui si intende sopprimere il nonno, la mamma o qualcun altro di famiglia.
La questione insomma non è solo quale profondissimo dolore o disagio possa portare una persona malata a desiderare di farla finita. C’è qualcosa di superiore a questo, perché oggettivo e comunitario come devono essere le regole valide per tutti. Che per loro natura dovrebbero anche essere stabili e coerenti, se vogliono assolvere a una delle loro funzioni, quella di opporsi alla possibilità di scendere una china che potenzialmente potrebbe condurre a un baratro. Non hanno più questa natura le regole in Italia, nel momento in cui il Codice Penale dice una cosa, ma certe pratiche contrarie alle norme si stanno diffondendo appoggiandosi a una semplice sentenza della Corte Costituzionale (242/2019), che per un caso singolo aveva sentenziato come possibile il suicidio medicalmente assistito. Il fatto è che non siamo in un regime di common law come in Gran Bretagna o negli USA, dove le sentenze hanno valore di legge. Eppure, prono come è il nostro sistema alle peggiori influenze anglo-americane, operiamo come se lo avessero. Il cittadino avveduto vede così l’autorità dello Stato stracciata da regolamenti di ASL che, giuridicamente, valgono meno della carta su cui sono scritti, o da una sentenza che, in quanto tale, ha valore solo per il singolo fatto trattato, ma diventa appiglio e alibi utile per associazioni o lobby che non temono di avventurarsi in una possibile voragine umana, se ciò gli consente di ottenere visibilità e introiti.
Che cosa sia baratro possibile è facile da vedere. Basta lanciare uno sguardo sul paese più all’avanguardia in questo tipo di pratica e di business, ossia il Canada. Guidato da anni da un’ideologia malthusiana estremista, non nasconde nemmeno più la sua convinzione che la sostenibilità del pianeta terra dipenda dall’eliminazione di quanti più esseri umani possibile e in questo senso agisce coerentemente. Nel paese dell’orrore che è diventato il Canada di Justin Trudeau si può chiedere e ottenere di morire non solo perché malati di un male inguaribile, invalidante o dolorosissimo, ma anche perché si è semplicemente depressi o troppo poveri. Al momento ciò accade su richiesta dell’interessato, ma quanto è breve il passo perché ciò avvenga per decreto di qualche politico o di qualche giudice? Brevissimo, in realtà. Non è un caso che in tutte le vicende di suicidio assistito accadute in Italia fino ad oggi, a dare il nulla osta per l’impunita infrazione del Codice Penale siano stati dei magistrati. Dietro a ogni richiesta di morte soddisfatta, nel nostro paese, c’è sempre la sentenza di un giudice il quale, svendendo la dignità della sua toga alle pressioni mediatico-politiche, si infila tra le pieghe di un sistema incapace di “tenere”, sia sotto il profilo delle regole vigenti, sia sotto quello meramente etico. Ogni sentenza è un cuneo che consolida falle di illegalità in un sistema che dovrebbe invece restare saldo nella protezione della comunità. In quelle falle s’infila di tutto, insieme alla morte. Ad esempio politici senza scrupoli, come l’esponente del PD Debora Serracchiani, pronta a una proposta di legge a suo dire «richiesta dalle coscienze delle persone oltre che dalle sentenze costituzionali». In attesa di potersi magari comprare il farmaco letale a prezzo scontato durante uno dei prossimi “Black Friday”.