Si era già espresso contro il ddl Zan, lanciando un hashtag e dissociandosi dalla novità, delle settimane scorsi, di far rientrar i disabili nel testo della legge. Si tratta di Vincenzo De Lorenzo, un giovane disabile che denuncia come le priorità, soprattutto per chi è portatore di handicap, siano ben altri che essere “inseriti” all’interno di un disegno di legge molto più ampio e non di certo incentrato sulla tutela dei disabili. Pro Vita & Famiglia lo ha intervistato.
Signor De Lorenzo, ultimamente Lei si è espresso contro il ddl Zan, in particolare contro l’ampliamento dei motivi considerati “discriminatori” estesi, di recente, anche, alla disabilità. In un post che ha condiviso su facebook si è detto, come disabile, decisamente contrario a questa decisione, dissociandosi totalmente dal ddl e chiedendo di non essere coinvolto nel tentativo di approvare una simile legge, lanciando l'hashtag #NonInMioNome. Evidentemente Lei riconosce che le emergenze oggi, per i disabili, sono ben altre?
«Riconosco soprattutto che il pietismo dei finti buonisti è forse la barriera peggiore contro la quale dobbiamo combattere. Io lo faccio da 54 anni, perché mentre venivo alla luce sono stato privato per alcuni momenti dell’ossigeno che mi era necessario e, tutto questo, ha comportato i problemi che oggi mi relegano su una sedia con spasmi continui e difficoltà respiratorie anche di notte, tali da necessitare che qualcuno mi sposti a cadenze regolari anche mentre dormo. NonInMioNome è un hashtag che ho ritenuto di usare proprio perché sono stanco di persone che continuano a blaterare, arrivandoci a usare come ‘scudi umani’ per i loro beceri interessi. Questa del ddl Zan è, se possibile, la peggiore e forse la più emblematica di questo tipo di manifestazioni. Le persone con disabilità, sono persone, non categorie, e come persone hanno una serie di esigenze che lo Stato non sempre considera, costringendoci a fare i salti mortali, magari con carrozzina annessa, solo per arrivare a sperare di vivere un altro giorno».
Nel concreto, invece, lo Stato, le è stato vicino? E il Comune di Potenza, in che modo è venuto incontro ai suoi bisogni?
«Le normative nazionali ci sono, certamente servirebbe una maggiore organicità della materia, una migliore definizione del quadro di possibilità e sostegni che si offrono alle persone interessate, una semplificazione nella fruizione e una precisa definizione dei fabbisogni, attraverso interventi modulati a seconda delle esigenze, e non un’estemporaneità che, nei casi come il mio, non solo non hanno senso, ma ci comportano quell’umiliante peregrinare e quel ancora più umiliante elemosinare semplicemente i diritti che in quanto persone, la Costituzione ci garantisce. Nel caso specifico, non si tratta tanto del Comune di Potenza, ma della Regione che, come indicato dalla legge 162 del 1998, avrebbe la possibilità per esempio di prevedere Progetti di Vita Indipendente in forma stabile e non con scadenze che comportano ulteriori intoppi burocratici che puntualmente si verificano. Nella mia condizione, tranne un intervento miracoloso del Padre eterno, le mia necessità permangono sempre e, in ogni istante della mia vita ho bisogno di un supporto. Attenzione non chiedo quanto si è fatto con enfasi e altrettanta inutilità riguardo all’’assegno unico’ per i figli, per il quale i chiacchieroni hanno tessuto le lodi di un provvedimento che con una mano toglie e con l’altra, forse, darà. E’ necessario una disposizione normativa unitaria, che non lasci all’arbitrio delle Regioni la discrezionalità di intervenire, la scelta della modalità, l’individuazione del quantum. E’ doveroso individuare un criterio unico al quale tutti devono obbligatoriamente attenersi, che consideri la persona con disabilità, realmente e concretamente persona che deve essere messa in condizione di esercitare ogni suo diritto, primo tra tutti quello alla vita».
Quali necessità sono emerse durante questa pandemia e il lockdown dello scorso marzo?
«Nell’isolamento generale, su una gestione rispetto alla quale preferiscono non esprimermi per evitare di evidenziare il mio sconforto, le settimane trascorse forzatamente tra le mura domestiche, pur avendo difficoltà oggettive, spesso sono costretto a muovermi anche solo per visite mediche e analisi, mi hanno innanzitutto, mostrato il volto buono dell’Italia. Quello dei tanti che si sono adoperati per portarmi generi di prima necessità, farmaci in primis, quello di chi ha continuato a vivere con me, aiutandomi nella gestione della quotidianità, quello degli amici con i quali ci scambiavamo riflessioni, saluti, anche solo sorrisi sui social. Ma mi ha anche confermato come, anche per quanto ho espresso in precedenza, all’interno di un periodo di grande difficoltà, quelle di chi vive una condizione di disabilità, se possibile, si acuiscono ulteriormente e, tenga presente, che qui a Potenza e in Basilicata, il Covid, per fortuna, durante la prima fase ci ha interessato non in maniera così grave come in altre realtà».
Ritorniamo alla questione del ddl Zan. Nel suo post di facebook dissociandosi da questo disegno di legge, Lei ha anche scritto “Io, la mia disabilità non la espongo come un trofeo, non la impongo agli altri come un dogma, non la propongo come un argomento salottiero. Se domani dovessi decidere di essere altro rispetto a quello che sono, il mio corpo, che è parte essenziale di me, me lo ricorderebbe e non sarebbe certo la legge Zan a cambiare le cose.” Considera un atto demagogico e una mera strumentalizzazione di un argomento serio come la disabilità, l’equiparazione delle discriminazioni contro gli omosessuali con quelle contro i disabili?
«Potrei risponderle con la solita retorica trita e ritrita di chi afferma che non ha niente contro le persone omosessuali, ma lo ritengo pleonastico, constatato come qualcuno che abbia un’avversione verso altre persone, prima di tutto, ha un problema con se stesso. Nel caso però dell’autentico martellamento, mediatico, culturale e normativo al quale siamo sottoposti in maniera costante, che ci riporta ai fasti nefasti dell’inizio delle battaglie ‘gaie’ oltreoceano, di ormai più di qualche decennio fa, come psicologo clinico ancora prima che come uomo, le dico che non ribellarsi equivarrebbe a rendersi complici, di una deriva che prima che culturale, sociale, politica, normativa, è morale. La televisione è invasa da arcobaleni, i giornali, anche quelli che dovrebbero essere cattolici, che sono ben lieti di fare la sponda a posizioni che di cattolico non hanno alcunché, i rappresentanti istituzionali sempre più proni ai diktat di lobby che attraverso un sparuta minoranza impongono la loro volontà a tutti, come accadde per l’aborto. Ecco, le persone con disabilità sono esattamente all’opposto di chi rivendica il vizio come diritto, di chi pretende che il prurito assurga a status da garantire, di chi ‘impala’ pubblicamente chiunque dica anche solo che la famiglia è quella fatta da un papà, una mamma e dai figli. La legge Zan che, dopo le unioni civili, potrà essere un ulteriore passo verso l’abisso, nel quale persino i bambini delle elementari saranno violati nel diritto di apprendere cosa è vero e cosa non lo è, nel quale l’abominio dell’utero in affitto sarà considerato un atto di generosità, nel quale la norma diverrà eccezione e l’eccezione norma, in questo quadro proverà anche a usarci, lo ripeto come ‘scudi umani’, ma certamente NonInMioNome. Sa perché, perché un testo di legge che riporta: “Per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”, non ha bisogno di giuristi che la interpretino, ha bisogno di psichiatri che la esaminino».