Ci duole dover presentare ancora una volta un numero dedicato al macabro tema del fine vita. L’abbiamo intitolato “il dovere di morire” / “la morte è servita” perché, se entreranno in vigore le nuove leggi eutanasiche - che al momento di andare in stampa sono ancora in fieri - non solo avremo tutti il “diritto” di morire, ma anche il dovere di toglierci di mezzo, quando saremo anziani, malati, improduttivi, infelici… insomma, un costo “insostenibile” per la società (e magari anche per i familiari). La strada scivolosa che abbiamo intrapreso già dal 2017, con la legge 219 sulle Dat, conduce a questo “esito”. La prova provata è nella cruda realtà dei Paesi - pochi - che hanno già legalizzato il suicidio assistito, o eutanasia che dir si voglia (sia chiaro che la differenza è sostanzialmente inesistente: è sempre morte procurata di una persona più o meno consenziente).
Leggendo gli articoli dedicati, vedrete che dovunque la morte dilaga. Si diffonde rapidamente la mentalità utilitaristica-edonistica per cui i soggetti fragili sono destinati a soccombere (alla faccia dell’inclusività di cui tutti si riempiono la bocca).
Non possiamo sapere se e in che termini passerà la legge sul suicidio assistito o che esito avrà il referendum radicale sull’eutanasia. Sappiamo bene, però, che è nostro dovere continuare a testimoniare a favore della bellezza della vita e della incommensurabile dignità di ogni essere umano, che merita sempre cura, sollievo e solidarietà, senza “accanimento terapeutico”, ma senza mai abbreviare il tempo che gli è stato dato da vivere.