17/04/2016

Obiezione di coscienza, diritti umani e “nuovi diritti civili”

La libertà di coscienza e quindi il diritto all’obiezione di coscienza occupano un posto di primaria importanza nel diritto internazionale: è il fondamento del sistema dei diritti umani, dall’abolizione della schiavitù alla condanna dei genocidi.

E’ il diritto incarnato dall’eroina di Sofocle, Antigone, già nel V secolo A.C. (nella foto: Marie Spartali Stillman, Antigone, 1870)

Nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU), all’art. 1 si legge: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza” e all’art. 18: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà, da solo o in comune,  sia in pubblico che in privato, di professare la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti“.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1966, poi ha adottato il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR): un trattato vincolante per gli Stati che l’hanno sottoscritto, in cui il diritto all’obiezione di coscienza è un diritto inderogabile che i governi devono sempre rispettare, anche in circostanze di emergenza pubblica.

Già da tempo, anche in Italia, il diritto all’obiezione di coscienza tende ad essere visto in modo straordinariamente strabico: è un diritto sacrosanto se si tratta di obiettare al servizio militare o alle sperimentazioni sulle cavie di laboratorio. Va osteggiato, conculcato e represso, se si tratta di obiettare all’aborto...

Negli ultimi dieci anni, poi, i conflitti tra la libertà di coscienza e le politiche LGBT sono cresciuti rapidamente. Gli attivisti LGBT pretendono che la libertà di coscienza sia subordinata ai loro “nuovi diritti civili”, mettendo a repentaglio il sistema universale dei diritti umani in sé.

Tutti gli esseri umani possiedono quei diritti fondamentali grazie alla dignità della natura umana. Le persone LGBT, in quanto persone, non fanno eccezione. Nessuno ha dei diritti in base al proprio orientamento sessuale. Perché le persone LGBT dovrebbero averne?

La violenza nei confronti di omosessuali non è né più né meno grave della violenza contro qualsiasi essere umano.

Quanto al matrimonio, la DUDU, all’art. 16 recita: “Uomini e donne in età adatta, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione, hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento. . . . La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”.

Nel 1948, i redattori della DUDU ovviamente davano per scontato che il matrimonio fosse tra una donna e un uomo. Ma ora, l’attivismo LGBT si adopera per ridefinire il dettato della norma citata.

Nel 2013, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha confermato la decisione del governo britannico che ha imposto a un funzionario di redigere la certificazione di matrimonio omosessuale e a un professionista di  fornire la sua consulenza psico-sessuale alle coppie dello stesso sesso. Entrambi avevano dei collaboratori disposti a fornire questi servizi, al posto loro. Eppure, la CEDU ha approvato il licenziamento dei due lavoratori in questione. In questo modo, pare, il concetto di “uguaglianza” (distorto, perché una coppia omosessuale è oggettivamente diversa da una coppia eterosessuale) prevale sul diritto fondamentale di libertà.

Ma nessun diritto umano, se è un vero diritto umano, universale, fondato sulla dignità umana, può comportare la violazione di un altro diritto umano.

Pensiamo un attimo se in nome della libertà si potesse sacrificare il diritto alla vita: si ripiomberebbe immediatamente nella jungla: il più forte sopprime il più debole che “limiti” la sua libertà (la ratio che giustifica l’aborto e l’eutanasia è proprio questa, purtroppo). Quando un principio del genere sarà del tutto sdoganato, giustificheremo tutti quelli che si fanno giustizia da sé.

Dalla Dichiarazione di Yogyakarta in poi, l’attacco alla libertà di coscienza si fa sempre più serrato.

Il Principio 21 (b) stabilisce che i governi devono “Assicurare che l’espressione, la pratica e la promozione di diverse opinioni, convinzioni e credenze per quanto riguarda le questioni di orientamento sessuale o l’identità di genere non siano in conflitto con i diritti umani”. Qui sta in nuce il “diritto” di violare la libertà di coscienza di chi ritiene che gli atti omosessuali siano contro natura, contro la felicità e la dignità degli esseri umani e non vadano quindi moralmente approvati.

Alla base degli assunti come quelli della convenzione di Yogyakarta c’è una pregiudiziale: sono gli Stati o le Nazioni Unite o altri enti sovranazionali a decidere quali sono (e quali non sono) i diritti umani, i diritti fondamentali dell’uomo. La qualcosa è estremamente pericolosa: ad esempio Charles Malik, uno dei redattori della Dichiarazione, ha avvertito che, quando lo Stato ha il potere ultimo di creare diritti, ha anche il potere di revocarli. Solo quando i diritti umani si fondano su qualcosa di trascendente, di superiore al potere dello Stato, possono resistere alla prova del tempo e al cambiamento dei vari regimi politici. Sono allora sì, davvero, diritti universali dell’uomo: universali e immutabili, nel V secolo a.C.  come oggi.

Una conclusione del genere è facilmente condivisa dalla cultura religiosa che crede in un Dio, principio e fondatore dell’universo, misura del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto universale. Ma anche chi rifiutasse a priori l’idea di Dio, può accettare (e le menti più illuminate lo fanno) l’idea che determinati principi sono scritti nella Natura dell’essere umano. Sono leggi naturali, appunto, che regolano i diritti naturali (la vita, la libertà, la proprietà), alle quali, in coscienza, ogni persona sa di dover ubbidire.

Se alle politiche LGBT si dà la priorità rispetto a questa libertà di coscienza,  non avremo più diritti universali e inalienabili che non derivino dal potere di coloro che sono al governo nello Stato.

Redazione

Fonte: The Public Discourse

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