Il fatidico 24 settembre - termine dato dalla Corte Costituzionale al Parlamento per legiferare sul fine vita in rimedio ad un presunto «vuoto normativo» - si avvicina ed aumentano le pressioni. Quelle del mondo pro life per scongiurare derive eutanasiche, ovviamente, ma anche quelle del mondo radicale, desideroso che nel nostro Paese venga riconosciuto il diritto alla «dolce morte». A questo proposito, almeno due sono stati gli interventi dei favorevoli all’eutanasia degni di nota ancorché, come vedremo subito, contraddistinti da insanabile fragilità logica.
Il primo è stato quello della senatrice radicale Emma Bonino, la quale, intervenendo ad una trasmissione televisiva, ha dichiarato: «C'è una proposta di legge sul tavolo che riguarda l'eutanasia, promossa dall'Associazione Coscioni. Il mio punto di vista è uno solo: ci deve essere la libertà responsabile delle persone di scegliere non di morire, cosa che succede a tutti, ma di come poter morire, in dignità e in libertà. Questo è il punto sostanziale […] E' difficile? Certo, è complicato. Ma proprio quando le cose sono complicate è meglio non delegarle a giudici, medici eccetera eccetera».
Apparentemente inattaccabile, il ragionamento della storica leader radicale è in realtà debole. Per almeno due ragioni. Anzitutto perché confonde il «poter poter morire, in dignità e in libertà» - facoltà che nessuno discute a priori - con il poter essere uccisi, che è il vero nocciolo della questione allorché si parla di eutanasia e suicidio assistito; se infatti la persona morente ha diritto ha potersene andare con dignità, senza accanimento terapeutico, questo nulla ha che vedere con il presunto diritto ad essere ucciso da parte di chicchessia, anziani o semplicemente depressi in senso generale.
Un secondo limite dell’argomentare boniniano sta nel fatto secondo cui l’eutanasia di Stato è l’alternativa al delegare la propria libertà ai medici o ai giudici. Peccato che invece non la morale cattolica ma l’esperienza dimostri il contrario, basti pensare all’Olanda dove più di qualche medico, negli anni, è finito sotto inchiesta proprio perché – in assenza di qualsivoglia richiesta – si è arrogato il diritto di eliminare un pazienze reo soltanto di essere demente o non più abbastanza lucido. Altro che libertà.
Ma se questi sono gli argomenti di Emma Bonino sul fine vita, non è che quelli del leader radicale di oggi, Marco Cappato, siano molto più convincenti. Basti pensare a quando afferma che «negare ai malati di poter rinunciare a idratazione e nutrizione artificiale è imporre un trattamento contro la volontà malato». Ora, è con ogni evidenza si tratta di una frase priva di significato perché eleva arbitrariamente al rango di trattamenti terapeutici l’alimentazione e l’idratazione, che invece altro non sono che supporti vitali; anche perché, se fossero considerati trattamenti medici, autorizzerebbero tra le altre cose ciascuno di noi a prendersi malattia dal lavoro ogni volta che avesse fame o sete; il che sarebbe un evidente assurdo. Meglio allora diffidare dei tortuosi e ingannevoli argomenti dei radicali per tornare a ribadire, in vista del 24 settembre, un forte e chiaro no all’eutanasia e al suicidio assistito.
Occorre farlo nella consapevolezza che il diritto alla vita è un limite invalicabile e che quella dell’eutanasia – fatta eccezione per pochissimi casi puntualmente balzati agli onori delle cronache – è una battaglia voluta anzitutto dai sani sulla pelle dei più fragili. Lo dimostra il fatto che, per esempio, appena il 7% dei soggetti affetti dalla sindrome locked-in (condizione durissima, che comporta la paralisi completa di tutti i muscoli volontari del corpo) abbia pensieri o intenzione di morte, mentre gli italiani favorevoli all’eutanasia, secondo alcuni sondaggi, sono 10 volte tanti.
Ma il desiderio dei malati e dei disabili, appunto, è quello di vivere e di essere assistiti, non certo di essere eliminati «per il loro bene». Motivo per cui urge chiedere sia al Legislatore sia alla Corte Costituzionale di risparmiare al Paese una deriva eutanasia che andrebbe a colpire anzitutto i cittadini più fragili e indifesi, vale a dire coloro che più di tutti, anche se magari non lo si direbbe, son attaccati alla vita.
di Giuliano Guzzo