Il mondo delle malattie è veramente vasto. Probabilmente, in pochi hanno sentito parlare della spondilite anchilosante. Per Li Hua è stata una “compagna di vita” che lo ha accompagnato per ben 20 anni.
L’uomo cinese di 38 anni ne aveva infatti soli 18 quando gli fu diagnosticata quest’infiammazione che ha lentamente iniziato a deformare le sue ossa al punto da renderlo completamente ricurvo su sé stesso. «La colonna vertebrale si è piegata in modo sempre più accentuato, riducendolo a una postura sempre più rannicchiata», spiega un articolo di Aleteia.
Costretto a vivere con il volto schiacciato sulle ginocchia, anche il solo mangiare era diventato un’impresa, così come le tante altre azioni quotidiane che caratterizzano la nostra vita ordinaria. Insomma, un trauma vero e proprio che sconvolge i progetti e i desideri di una persona, che gli preclude tante possibilità e gli arreca non poche sofferenze.
In tanti, specie al giorno d’oggi, avrebbero invocato una legge sull’eutanasia per casi del genere, come se si trattasse di una forma di compassione. Del resto, una vita come quella comporta indubbiamente sofferenze continue. Ma finché c’è vita c’è speranza e Li Hua ne è una delle tante “prove viventi”.
Infatti, nonostante la grave situazione in cui verteva, aveva a fianco a sé sua madre, che si occupava amorevolmente di lui, dando dignità alla sua vita. Sono tante le persone che reagiscono comprensibilmente disperandosi dopo una diagnosi infausta e che non sopportano più i dolori provocati dalla malattia e come questa abbia cambiato il loro stile di vita.
Ma spesso la presenza di qualcuno al loro fianco è determinante e chi, seppur nella sofferenza, sa di non essere solo e riceve tutte le cure, l’assistenza e la vicinanza di cui necessita sceglie di rinnovare il proprio “Sì” alla vita e “No” all’eutanasia o al suicidio assistito. Così, proprio come dicevamo nel titolo, «può alzare la testa l’uomo piegato dalla malattia» e riconoscere che la propria vita ha valore e davvero vale la pena di essere vissuta indipendentemente dalla sua cosiddetta “qualità”. Perché il vero “best interest” del paziente non è la mai morte, ma la vita e tutti meritano di essere aiutati a vivere e non a morire.
Nel caso di Li Hua, poi, il poter “alzare la testa” non è stato solo una metafora per indicare il prendere coscienza della propria inviolabile dignità, ma anche una possibilità fisicamente concreta. «Con una successione di 4 interventi chirurgici, ciascuno ad altissimo rischio, Li Hua ha progressivamente recuperato: la possibilità di stare «seduto», cioé con la schiena staccata di 90° dalle gambe, poi la possibilità di sollevare la testa e ritrovare la posizione eretta ma solo da sdraiato; infine è stato raggiunto anche il traguardo di alzarsi di nuovo in piedi e cominciare la via di una lunga riabilitazione per riprendere a camminare».
Madre e figlio tornarono così a guardarsi negli occhi e per lui poté iniziare una nuova vita.