Un cartello con raffigurata l'immagine di una donna incinta, completamente nuda e crocifissa, è stato esibito al pride di Torino. Evocava la copertina che l’Espresso pubblicò il 10 gennaio del ‘75 per promuovere l'aborto e forse voleva servirne la causa. Oppure rivendicava la GPA, sigla neutra che sta per gestazione per altri, ma che più comunemente è conosciuta come pratica dell’utero in affitto, l’ultima avocazione della sovranità riproduttiva.
Gridavano che tutti devono poter diventare genitori, al corteo, che il figlio è un diritto, comunque sia…, ma c’è da chiedersi perché del Dio morto in croce si sono fatti bandiera, in una forma blasfema e scandalosa. Perché l’accanimento per quel simbolo al cuore della fede cristiana? Cosa volevano manifestare?
Si può azzardare una risposta richiamando un’esibizione simile, quella del Natale di due anni fa, quando un magazine tedesco postò l’immagine di una Madonna barbuta col capo teneramente poggiato sulla spalla di un Giuseppe impettito con fra le braccia un pupazzo di gomma. Ebbene, allora il figurante impersonante Maria, intervistato, dichiarò che per lui non si trattava "di schernire le persone a causa della loro fede, ma di ricordare loro che nelle storie bibliche ci sono così tanti punti di domanda” e che “se Maria era Vergine e ha avuto un figlio senza rapporti sessuali, allora possiamo immaginarla altrettanto bene come una persona non conforme dal punto di vista del gender”.
Ora, nei tanti luoghi comuni di questa risposta si nascondono una presunzione antica ed un’operazione ideologica.
La presunzione antica è quella di una conoscenza che abbia la pretesa di illuminare il mistero e di nettarlo da ciò che reputa superato e oltrepassato.
L’operazione ideologica sta invece nell’asservire la fede al pre‒giudizio così da ridisegnarla in misura della propria idea per contestare, schernire, scandalizzare.
Ma, in realtà, in questo caso si fa esattamente il contrario e ci si allinea piuttosto ad un’ideologia rimuovendo lo scandalo vero del cristianesimo: che quell’uomo crocifisso è Dio. Quindi, essi che lo esibiscono non fanno che perpetrare lo scandalo, ma stando dalla parte dei crocifissori.
Perché anche allora, 2000 anni fa, quando sopra quella Croce vi finì Gesù esso era già scandaloso. L’appeso era di scandalo. Ce lo dicono i Vangeli: era uno alla cui vista ci si copriva la faccia, per non vedere, un rifiuto umano lasciato nudo normalmente per giorni (per Gesù non fu così perché in tempo di Pasqua questo non accadeva), beccato dagli uccelli fino a scarnificarne le carni. Era segno di dannazione per sé e per gli altri. Escluso dalla comunità, tant’è che i crocifissi subivano la condanna fuori dalle mura della città.
Oggi, la donna e il bambino sono crocifissi in nome dell'aborto e per conto della cultura che lo propaganda e lo banalizza. La donna e il bambino crocifissi in nome e per conto dell'utero in affitto.
Quindi, il significato più immediato, più ovvio forse, di quell’immagine è che la donna e il bambino che si porta in grembo sono “messi in croce”, come Lui, e innocenti affrontano la pena e il ludibrio. Ma il significato più profondo, forte, profetico, al di là della intenzione del latore, al di là delle rivendicazioni, al di là dello stesso atto sacrilego, è di pace e di speranza. Di pace, perché su quella croce sono due, ma condividono la stessa sorte, lo stesso dolore, lo stesso palpito vitale; di speranza, perché il fatto che sono assolutamente coinvolti supera ogni desolazione. Si tengono insieme ed è così intessuto l'essere dell’uno a quello dell’altro, la madre, che egli “può sussistere solo in quell’assoluta correlazione corporea” (J. Ratzinger), in quell'unità fisica che è il marchio dell’albero della vita.
E allora anche la sofferenza di lei, diretta, penosa, ingiusta, si riflette nel piccolo che sente attraverso di lei. Egli è crocifisso assieme, consegnato alla stessa sorte, ancora più innocente e assolutamente inerme. Per cui la croce è non tanto, o soltanto, uno strumento di condanna, quanto un mezzo di redenzione, un segno glorioso di amore ineguagliabile.
Foto: Tintoretto, Crocifissione, Oratorio di san Rocco, Venezia
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