23/11/2012

Radicati nella Vita

Il problema dell’aborto ha da sempre suscitato forti dibattiti, mettendo a confronto posizioni culturali e politiche differenti, impegnate in una battaglia coinvolgente la corretta visione dell’uomo e del mondo. Interessata soltanto dalla crisi economica ed accecata dal livello dello spread e del debito, l’opinione pubblica non vede il terribile abominio che si sta svolgendo sotto i suoi occhi: solo in Italia, ogni anno, avvengono più di 100 000 aborti! Il numero, già di per sé spaventoso, lascia ancora di più atterriti se paragonato a quello dei bambini nati nel nostro paese annualmente, ovvero circa 550 000. Dati alla mano, avviene quindi un aborto ogni cinque bambini nati, come si può definire tutto questo se non “genocidio”?
Il doloroso tema dell’aborto è stato utilizzato dal movimento radicale e dai vari movimenti femministi, negli anni settanta, con il fine principale di intaccare il valore della sacralità della vita: sino ad allora, infatti, qualsiasi forma di aborto veniva punita penalmente con la reclusione. Determinanti nella vittoria del fronte relativista e pro abortista furono figure come Gianfranco Spadaccia, segretario del partito radicale, Emma Bonino, esponente radicale ed Adele Faccio, responsabile del CISA, il “centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto”. Responsabili di aver praticato aborti, si autodenunciarono, finendo in carcere ed ottenendo così l’attenzione di tutti i mass media sul proprio caso. La legalizzazione della cosiddetta “interruzione volontaria di gravidanza” avvenne con la Legge 22 maggio 1978 n. 194, alla quale ci si riferisce comunemente come la “194”. Nonostante le retoriche pro abortiste sulla diminuzione degli aborti clandestini e sulla raggiunta emancipazione femminile, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: milioni di persone concepite, uccise ancor prima di poter nascere. “Nel nostro secolo un altro cimitero deve essere aggiunto alla lista della crudeltà umana: quello dei mai nati” disse Papa Giovanni Paolo II riferendosi proprio alle vittime dell’aborto. Negli ultimi anni, inoltre, oltre all’aborto medico, si è aggiunta la possibilità di effettuare l’aborto farmacologico con l’introduzione, in vari paesi, della pillola RU-486, contenente uno steroide sintetico, il mifepristone, utilizzato per l’aborto chimico nei primi due mesi di gravidanza. Attraverso la somministrazione di una pillola si potrà quindi uccidere il proprio feto e, successivamente, assumendo prostaglandina a distanza di 48 ore dal mifepristone, espellerlo dall’organismo della madre. Quest’ennesima forma di aborto mostra, in maniera ancora più evidente, come la vita umana sia considerata dai pro abortisti alla stregua di una malattia da debellare e da espellere. Vorrebbero un mondo dove una madre possa, senza sensi di colpa, uccidere la creatura che porta in grembo, giustificandosi essi, dietro cause economiche e sociali, per coprire i milioni di morti che la loro idea di progresso e di libertà ha provocato. La sfida culturale che aspetta chiunque creda nella sacralità della vita, sia egli cristiano o meno, consiste proprio in questo: combattere fermamente il relativismo etico ed il nichilismo dilagante, smascherando le retoriche messe in atto dai signori della morte, i veri nemici del genere umano.
   
di Marco Valerio Solia

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