La storia continua a ripetersi. Le leggi più controverse, a partire da quelle che minacciano la vita dal concepimento alla morte naturale, vengono approvate negli scenari di emergenza, quando il popolo – a torto o ragione – è distratto da quelle che gli appaiono come priorità assolute. Così avvenne nel 1978, con la legge 194, votata da un Parlamento scosso dalle vicende del sequestro Moro. Così rischia di avvenire sul fronte eutanasia-suicidio assistito in questo 2021, secondo anno di un’emergenza Covid, in cui la luce in fondo al tunnel si stenta ancora a vedere.
Marco Pannella (1930-2016) è scomparso cinque anni fa, ma i suoi eredi politici sono vivi, vegeti e hanno imparato alla perfezione la lectio magistralis del maestro. Marco Cappato è lo stratega di quest’ennesimo revival radicale e il suo piano, come nei più sofisticati scenari bellici, prevede un campo d’azione su più fronti, che procede in modo lento ma inesorabile da almeno quattro anni.
La legge 219 ha rappresentato un primo step in ambito fine-vita, avendo permesso per la prima volta la sospensione dei trattamenti vitali, ovvero la nutrizione e l’idratazione mediante PEG, unitamente al ricorso alla sedazione profonda, pratica eutanasica a tutti gli effetti, seppure apparentemente meno brutale di altre. A questa mossa legislativa, se n’è affiancata un’altra di tipo giurisprudenziale. Nella sua sentenza n. 242/2019, la Corte Costituzionale riconosceva l’incompletezza della legge 219, la quale non individuava gli strumenti a disposizione del medico per assecondare la volontà del paziente di morire. In altre parole, la Corte ravvisava un’incongruenza tra la liceità dell’abbandono terapeutico e la punibilità del medico. Per colmare tale vuoto legislativo, non bastava una semplice depenalizzazione del suicidio assistito. Posto che la punibilità del medico veniva rimossa per via giurisprudenziale, la Consulta sollecitava un intervento legislativo più articolato.
Ecco, allora, la proposta di legge sul Rifiuto dei trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia che, di fatto, recepisce le indicazioni della Corte Costituzionale, stabilendo una serie di paletti, a partire dalla maggiore età e dalla capacità di intendere e volere quali requisiti minimi per avanzare la richiesta di morire (art. 3). Tale capacità di prendere decisioni libere viene verificata dal medico destinatario della richiesta, il quale potrà avvalersi di uno psicologo, passando poi al vaglio di un Comitato Etico Territoriale.
Altra condizione: per essere assecondato nel desiderio di morire, il paziente dovrà essere afflitto da «sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili» e, al tempo stesso, «da una patologia irreversibile o a prognosi infausta oppure portatrice di una condizione clinica irreversibile». Questa definizione allarga notevolmente la casistica dei pazienti destinabili al suicidio assistito, compresi, in questo caso, i soggetti depressi, oncologici o cardiopatici, nella misura in cui i farmaci che essi assumono sono considerati «trattamenti di sostegno vitale». Il paziente deve inoltre essere assistito dalla «rete di cure palliative», a meno che non abbia «espressamente rifiutato tale percorso assistenziale». La proposta di legge è stata approvata un mese fa alla Commissione Giustizia e Affari Sociali della Camera dei Deputati, nonostante le vistose irregolarità procedurali denunciate dall’onorevole Alessandro Pagano (Lega), a nome dei deputati di centrodestra.
Alla via parlamentare e alla via giurisprudenziale, si affianca quella referendaria. Pur non essendo presenti in Parlamento con un simbolo proprio, i Radicali possono godere di un consenso trasversale sui loro temi in entrambe le camere. Senza tuttavia rinunciare a quello che, da mezzo secolo è il loro cavallo di battaglia: il referendum. Apparentemente in sordina, all’inizio dell’estate è iniziata la campagna per la raccolta firme del quesito referendario, richiedente l’abolizione dell’«omicidio del consenziente» (art. 579 Codice Penale). L’obiettivo è portare gli italiani ad esprimersi sul referendum nella primavera del 2022. A promuovere la campagna referendaria è il solito Marco Cappato, in collaborazione con l’immancabile Associazione “Luca Coscioni” e con il Comitato promotore di cui fanno parte il Partito Socialista Italiano, Eumans, Volt, +Europa, oltre, naturalmente, ai Radicali Italiani. Prevedibile che il referendum si avvarrà del supporto di un nutrito stuolo di vip, influencer e gente di spettacolo: a fare da apripista è stato l’onnipresente Fedez.
La via referendaria non è affatto da considerarsi un “piano B”, per supplire all’eventuale fallimento degli strumenti parlamentari. I Radicali programmano scientificamente le loro strategie, secondo piani così dettagliati da somigliare a dei piani bellici. Non è peregrino, in questo caso, parlare di una vera e propria guerra contro la vita, dichiarata unidirezionalmente, in cui, però le vittime principali non sono le associazioni pro-life o i partiti che presumibilmente ne appoggiano le istanze. In questo conflitto anticonvenzionale, gli sconfitti sono i più deboli: colpendo e affondando loro, crollano tutti i fondamenti del diritto naturale che, per secoli, hanno sorretto la civiltà occidentale.