Un enorme sospiro di sollievo. È questa la prima reazione che genera l’apprendere di quanto avvenuto nei giorni scorsi a un neonato britannico – di appena un mese ed affetto da una grave cardiopatia congenita -, il quale è stato portato nel nostro Paese attraverso un volo C130. Il fatto è avvenuto nel pomeriggio di martedì 23 aprile. A renderlo noto è stata una nota di Palazzo Chigi, che ha fatto sapere come «la realizzazione di questo trasferimento» abbia «richiesto un’articolata organizzazione, che ha visto coinvolti la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con gli Uffici del Sottosegretario di Stato, del Consigliere Diplomatico e del Servizio Voli, il Ministero della Difesa con l’Aeronautica Militare, il Ministero della Salute, l’ASL di Roma 1 e l’Ospedale Bambin Gesù. Il tutto con il coordinamento del Ministero degli Esteri, dell’Ambasciata d’Italia a Londra e del Consolato Generale d’Italia a Londra».
Il motivo di questo trasferimento, per la verità già intuibile, è stato il seguente: il neonato, per la sua condizione di fragilità – ed anche per la sua necessità di un intervento chirurgico -, rischiava d’essere escluso dai protocolli di cura britannici. Una esclusione che, se avesse avuto degli sviluppi, avrebbe anche potuto condurre al ripetersi di un nuovo caso come quello di Indi Gregory, la bimba inglese di otto mesi affetta da una malattia del Dna mitocondriale per la quale i medici, nel suo assai presunto «best interest», hanno chiesto e purtroppo ottenuto l’uccisione. Ma fortunatamente stavolta le cose sono andate diversamente, e si è riusciti ad organizzare per questo bimbo quel trasferimento in Italia, e al Bambin Gesù, che per la piccola Indi non fu possibile attuare.
Comprensibili, pertanto, le parole di gioia del padre del bambino, rese note dall’avvocato Simone Pillon, incaricato dalla famiglia del piccolo di curarne gli interessi: «Sia mia moglie che io», è stato il commento del papà – un italiano di Treviso, che ma che da anni lavora nel Regno Unito -, «abbiamo il cuore che trabocca di gioia per quanto sta accadendo. Ringraziamo di cuore la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che si è fattivamente attivata per rendere possibile il trasferimento di nostro figlio, al sottosegretario Alfredo Mantovano e ai funzionari della Presidenza del Consiglio tra cui in particolare i consiglieri Nicola Guerzoni e Francesco Farri che hanno fornito il loro indispensabile contributo». Ora, oltre a condividere la gioia di questa famiglia per il trasferimento avvenuto con successo del loro piccolo in Italia – gioia condivisa, ovviamente, anche da Pro Vita & famiglia -, corre l’obbligo di effettuare una riflessione.
La riflessione, purtroppo decisamente più amara di quanto fin qui esposto, riguarda le difficoltà che nel Regno Unito tutt’ora si incontrano nel garantire cure a neonati affetti da determinate patologie. Da questo punto di vista, il ricordo va anche – oltre alla già citata Indi – alle non meno dolorose vicende di Charlie Gard, Isaiah Haastrup e Alfie Evans. Tutte storie, pur nella loro diversità, simili nel drammatico esito che hanno avuto e che, ecco il punto, potrebbero continuare ad avere. Se infatti, da una parte, per il caso del neonato arrivato in Italia martedì scorso, grazie alla mobilitazione anche del Governo Italiano, le cose hanno avuto uno sviluppo umano e di accoglienza, dall’altra parte se Palazzo Chigi non si fosse interessato della questione, purtroppo è lecito pensare che essa avrebbe avuto ben altro epilogo.
Ma è accettabile tutto questo? Risulta cioè tollerabile che debba essere sempre il governo italiano ad intervenire per salvare – o provare a salvare – dei bimbi inglesi fragili che, diversamente, nel loro presunto «best interest» altrimenti rischiano la morte? Francamente pare di no. Tocca pertanto registrare come, nell’Europa dove la cultura cristiana aveva portato con sé non solo la diffusione degli ospedali ma anche quella dell’idea della cura della vita fragile, oggi la secolarizzazione sta riportando indietro le lancette della storia. E, sia pure sotto mentite spoglie, sta tornando quella legge del più forte – tale per cui è bene che sopravviva solo chi è in grado di farcela -, che speravamo ormai consegnata alla storia. Ma purtroppo così non è.