21/09/2013

Se la disabilità dei figli è una scelta

Accogliere la diversità non è facile. La difficoltà di accettare una disabilità e quella di accettare la non disabilità

Un interessante articolo di Elena Tebano pubblicato di recente sul blog del Corriere.it http://27esimaora.corriere.it ha lanciato sul tavolo un ottimo spunto di riflessione. Si parlava di genitori e disabilità, segnalando come negli Usa ci sia un numero di coppie, disabili, che si affida a test genetici preimpianto per sapere dell’esistenza di patologie genetiche negli embrioni, e scegliere di avere dei figli con le loro stesse disabilità. Come a dire, se sono disabile io, voglio un figlio disabile come me.

Gli esempi che si riportano nell’articolo sono quelli contenuti nel libro “Far from the tree” (“Lontano dall’albero”), in cui si citano ad esempio genitori sordi o affetti da nanismo che scelgono di avere figli sordi o nani, come loro. A questo proposito, ricordo che anni fa balzò alle cronache anche  il caso di una coppia lesbica sorda statunitense che scelse di avere due bambini sordi, tramite fecondazione assistita, da sperma deliberatamente scelto di donatore con sordità congenita.

La cosa è senza dubbio per molti versi incomprensibile. Come si può pensare di voler riservare, per scelta, al proprio figlio, una condizione che li metterà in una contesto che si presume di difficoltà rispetto alla vita? Ebbene, non è possibile farne una riduzione così semplicistica, anche se lo sbigottimento resta. Ad emergere in primis è senz’altro la positiva considerazione della propria persona e condizione, come pure delle possibilità di condurre una vita normale, che queste persone hanno. In altre parole, una copia disabile che decida per scelta di avere un figlio con la stessa disabilità, non vede in questa una condizione di svantaggio.

Andando oltre si può ravvedere in questi casi un rovesciamento della tradizionale concezione della disabilità:  addirittura forse il tratto di una vera e propria identità culturale che su essa si basa. Disabilità intesa come una sorta di tratto distintivo, quasi di “specialità“. E’ possibile? Non sono però sicura che siano moltissime le persone disabili ad avere raggiunto una tale sicurezza, oltre che armonia con la propria disabilità. Inoltre non si tratta solo di questo, perché lo stesso ambiente, la società in cui questa creatura è destinata a crescere sono una componente fondamentale che non può essere ignorata.

Le coppie che arrivano a compiere questa scelta, vien da pensare che in qualche misura probabilmente siano convinte di poter crescere un figlio disabile nel modo migliore possibile, poiché sanno esattamente cosa significa trovarsi in questa condizione. Di contro, probabilmente non si sentono in grado di crescere un figlio non disabile, poiché troppo lontano dalla loro condizione.
Di fronte a questa scelta, difficile però non sollevare il sospetto di un certo egoismo che, insito in qualunque genitore, in maniera probabilmente inconscia, porta a considerare il proprio figlio un riflesso di se stessi.

Ma è giusto (etico?) arrivare a decidere in maniera così pesante e definitiva sulla vita di un futuro bambino, privandolo di sue facoltà altrimenti naturali?  La disabilità che irrompe è la natura (il caso, la sorte, il destino, a seconda di come la si veda) che fa il suo corso, ma la disabilità cercata e voluta per terzi non è forse una violenza in potenza?

Questo concetto ci spiazza, noi che siamo più “abituati” alla situazione opposta: una disabilità non cercata e che arriva, come una doccia fredda, con una diagnosi durante la gravidanza. E il mondo che crolla, la paura, le scelte difficili. Anche qui, inconsciamente, la paura di avere a che fare con una situazione che non si conosce, il timore di un futuro sempre in salita, la responsabilità di essere un buon genitore per un individuo che avrà un rapporto col mondo necessariamente differente rispetto al nostro, oltre che un bagaglio di competenze di partenza diverso; ed ecco che il terreno comune di condivisione viene a essere più limitato, la possibilità di essere guida, in qualche modo specchio per questo bambino, viene meno.

Non è facile accogliere la diversità, in entrambi i sensi, ma può portare a una ricchezza inaspettata.
Su questo vorrei chiudere con le parole di Marina Cometto, mamma fantastica di una ragazza con gravissima disabilità, che qualche giorno fa sul suo profilo di Facebook dava spazio a questa riflessione:

“Se 40 anni fa avessi potuto scegliere, certamente, per come vedevo e pensavo la vita allora (CHE VUOTO) non avrei scelto Claudia come figlia, non avrei scelto di dividere la mia vita con lei perché ero piena di preconcetti verso la disabilità, non la conoscevo, e chi vorrebbe una vita fatta, a detta di chi è estraneo, sofferta e colma di incognite ?

Per fortuna non ho potuto scegliere, perché mi sarei persa questa straordinaria esperienza, non avrei conosciuto l’essere umano che dona senza bisogno di parole, che si affida a te sicuro dell’amore che tu riesci a donargli, insomma non avrei conosciuto, amato e apprezzato Claudia per quello che è: una meravigliosa creatura che per qualche disegno divino, del destino o della sorte (come meglio ognuno di noi crede) mi è stata assegnata come compagna di vita consentendoci di camminare insieme, passo dopo passo, giorno dopo giorno, anno dopo anno finchè saremo su questa terra”.

di Francesca Martin

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