«Se qualcuno pensa che la mia non è vita, non ha capito il vero senso dell’esistenza umana».
Molti dicono che non è vita quella di chi soffre, è allettato e non può muoversi. Specie se si tratta di una malattia neurodegenerativa come la Sla. Ma c’è qualcuno che non la pensa allo stesso modo.
E questo qualcuno è il malato di Sla più giovane d’Europa. Si tratta di Paolo Palumbo, rapper che si esibirà questa sera sul palco dell’Ariston, cui accederà «grazie a una speciale rampa montata apposta per lui, e canterà sdraiato, puntando con le pupille il comunicatore verbale che da un anno gli ha ridato una voce, seppure artificiale», spiega un articolo di Avvenire.
A soli 17 anni, la diagnosi gli cambia la vita: sarebbe voluto diventare chef, ma non ha rinunciato a sognare ed ora, a 22 anni, il cantante sardo sarà ospite (fuori gara) del festival di Sanremo: «Il brano che porto è un inno alla vita, scritto con l’obiettivo di spronare chi si arrende al primo ostacolo. Se ho incontrato la musica è grazie alla malattia, all’inizio è stato il modo con cui cercavo di far sentire ciò che provo tutti i giorni combattendo la mia battaglia».
Paolo ha perso la sua autonomia, è allettato, alimentato, idratato e ventilato artificialmente. Ma la Sla non è l’ultima parola su di lui: «Mi ha tolto le azioni quotidiane, mangiare, parlare, camminare, respirare, ma mi ha insegnato ad utilizzare il tempo che ho a disposizione nel migliore dei modi».
E mentre in tanti continuano a dire che una vita del genere non è degna d’essere vissuta e potrebbe essere portata a termine senza problemi con eutanasia e suicidio assistito, Paolo ci mostra chiaramente che non è così, che la sua vita vale la pena d’essere vissuta.
Paragonandosi agli influencer afferma: «Gli influencer guadagnano soldi, io guadagno un amore che nessuna cifra potrebbe mai pagare. D’altra parte, per loro sarei un collega originale, perché io voglio influenzare a rispettare la vita in tutte le sue sfaccettature».
Con la sua creatività, ha persino brevettato “Il gusto della vita”, «un tampone che si mette in bocca e diffonde gli aromi dei cibi più prelibati», per poter riassaporare i gusti delle pietanze preferite, nonostante sia la peg ad alimentarlo.
Ciò che lo rende così sereno, così in pace con la sua malattia e personalmente realizzato è questo: «La mia massima è che quando mi occupo del dolore altrui, il mio scompare».
Faremmo bene a prendere esempio anche noi.
di Luca Scalise