27/07/2017

Storia breve contro l’aborto, per la vita di tutti i bambini

Una nostra Lettrice ci ha inviato questa breve storia contro l’aborto, che condividiamo volentieri con voi.

NON CHIAMATEMI FETO, CHIAMATEMI BAMBINO
“Una mia breve storia, scaturita dal cuore, per dire NO all’aborto”

Era un giorno qualsiasi, in un posto qualsiasi, ma per te era speciale. Lui ti faceva sentire speciale.

Per i tuoi genitori eri da un’amica ma, come di solito succede, l’amica aveva in realtà coperto la tua fuga. Il cuore ti batteva a mille. Per te lui era tutto e pur di tenertelo stretto avresti ceduto al suo amore. Così, impacciati di fronte alla passione che tremula, precauzioni zero, pur sapendo ti fai travolgere... perché, dici, «È per sempre», nell’attimo fuggente.

Arrivo, mi sento rapire come dal cielo nel tuo ventre. Non so dove io sia, ma avverto che è il posto deciso per me, mi sento protetto, mi nutro e cresco. Ti avverto che piangi, urli e non so perché... che sia colpa mia?

Io cresco e tu piangi. Ed è così bello quando mi accarezzi e avverto i tuoi sorrisi.

Ti sento fuggire lungo le scale, e una voce che ti urla dietro una parola incomprensibile per me:
«Devi abortire, tanto è solo un feto grande quanto un fagiolo! Sei ancora una bambina... e quello sciagurato dov’è?».

Urli: «Non voglio!»... e se fosse colpa mia?

Mi piace quando accarezzi il pancino e, a bassa voce, ti immagini di me.
Ti sento piangere e singhiozzare, parlate di un appuntamento in ospedale, chissà di che luogo si tratta.

Ti sento singhiozzare, e c’è chi ti dice: «Stai tranquilla, ancora un attimo e il problema non ci sarà più! Avrai altre occasioni quando sarai grande!».

Scalci e urli e poi ti sento fuggire con la tua mano su di me. Tua madre ti prende, ti urla addosso, piange... avverto il suo abbraccio e lei che dice: «Perdonami, questo bambino vuole nascere e noi gli daremo un’opportunità, sia quel che sia».

Intanto passa il tempo e cresco, mi nutro. Questo luogo sta diventando un po’ stretto, ti sento quando ridi e quando piangi, e io cresco. Poi, come il primo giorno che mi sentii rapito a venire da te, mi sento rapire verso la luce...

Che affetto strano e chi sono tutti questi in camice bianco! Dove sei? Perché mi avete strappato dalla mia culla? Finché mi avvicinano a te, ti riconosco dal tuo battito e finalmente scorgo il tuo volto. Tu mi guardi e dici: «Sono la tua mamma e tu sei mio figlio».
E io, anche se non mi è dato di parlare, assaporando il momento del tuo abbraccio, penso: «Dal cielo, al tuo ventre e ora nel mondo. Grazie!!!».

Catia Berti


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