Il nuovo Coronavirus ormai da settimane sta mietendo migliaia di vittime in Italia. Le regioni più colpite sono soprattutto quelle del Nord e, come purtroppo sappiamo, la mortalità è altissima tra le persone più anziane, soprattutto se affette da altre patologie. Dettagli che non devono far tirare un sospiro di sollievo, perché qualsiasi vita umana è degna di essere vissuta e ha la stessa importanza. Nonostante questo, però, sono molte le storie di anziani morti per il Covid-19 che sono stati letteralmente dimenticati o sono stati lasciati privi di aiuti concreti. Una di queste drammatiche storie ci arriva dalla testimonianza di Anna Cervo, presidente dell’associazione Vie di Luce, alla quale Pro Vita & Famiglia ha donato recentemente centinaia di mascherine proprio per contrastare l’emergenza sanitaria in corso e proprio per aiutare le persone coinvolte nella storia che ha voluto testimoniare e che pubblichiamo qui di seguito.
La onlus che ha sede a Zanè, in provincia di Vicenza, è impegnata da anni nella diffusione della bellezza della vita, inseguendo obiettivi che hanno come unico scopo aiutare le persone in grave stato di difficoltà economiche e sociali. Lo scopo dell’associazione è inoltre quello di promuovere e divulgare l’amore come bene primario unico e assoluto.
«Ho avuto la fortuna – racconta Anna Cervo - di avere un prozio missionario saveriano, che ha trascorso il suo servizio per gran parte della sua vita in Africa nello stato del Congo tra Bukavu e Goma. L'anno scorso per problemi di salute è dovuto rientrare in Italia per fare degli accertamenti e si è così fermato da quel momento di nuovo in Italia, ad un paio d’ore di distanza da dove abito io. Sono andata a trovarlo a Natale prommettendogli di ritornare a fargli visita per Pasqua, ma a quel tempo non immaginavo che sarebbe arrivata una pandemia globale che non mi avrebbe permesso di ritornarci».
Già a inizio emergenza, quindi tra fine febbraio e i primi di marzo, racconta la Cervo, «sono venuta a conoscenza di molti insoliti lutti di missionari che via via con il passare dei giorni andavano aumentando, così ho chiamato mio zio, che mi ha confermato che purtroppo una donna che era nel reparto stireria nella casa dove abita aveva contratto il virus. Avevano inoltre allontanato tutte le persone che prestavano servizio nella casa , a partire appunto dalla stireria e dalle addette alle pulizie, fino anche a chi lavorava in cucina, facendo arrivare i pasti da un catering esterno. Dall'oggi al domani, quindi, si sono ritrovati soli a dover lottare contro un virus letale, i morti salivano e nessuno faceva niente per aiutarli».
«Fu così – spiega Anna Cervo - che cominciai a fare telefonate presso vari uffici istituzionali, chiedendo loro di intervenire e mandare dei medici. Il giorno seguente ho ricevuto la loro chiamata dicendomi di tranquillizzarmi che avevano mandato un medico. Per accertarmi fosse vero mi sono confrontata con mio zio che però mi riferì che non era passato alcun medico e che i missionari continuavano a morire. Nel frattempo – continua la Cervo -ho mandato un messaggio anche ad un alto prelato di cui non faccio il nome , che è un alta carica , spiegando la situazione e chiedendo il loro intervento ma nessuno ha mai risposto a quella mia richiesta nonostante abbia avuto la notifica che sia stata letta. Allora i giorni seguenti ho chiamato nuovamente gli stessi uffici avvisando che non era passato alcun medico e che a quella data nessuno aveva ricevuto un tampone».
«Mi viene detto che non possono fare niente e che hanno sollecitato una onlus locale e quindi di provare sentire loro, ma intanto i giorni passano. Allora chiamo questa onlus e mi viene riferito che non è mai arrivata nessuna segnalazione, ma che in effetti erano venuti a conosceva del caso da alcuni giornali locali che avevano sollevato la questione, così di loro spontanea volontà mandarono un medico all'interno della casa, che però si limitò a visitare solo le persone che ormai avevano già contratto il virus per destinarli verso gli ospedali. Agli altri missionari apparentemente sani non fu fatto nessun tampone, nessun controllo della temperatura e non sono mai stati distanziati o messi in isolamento».
«Voglio sottolineare il mio ringraziamento a questa onlus che è stata l'unica che ha cercato di portare il proprio aiuto e che si è prestata a dare un servizio molto prezioso oltre il quale erano impossibilitati a fare altro. Ma intanto i giorni sono trascorsi inesorabilmente e mio zio mi comunicava che i morti salivano, che anche l'unico medico missionario è deceduto».
«Oggi oramai l'epidemia si è portata via una ventina di missionari anche se i dati precisi non ci sono e li sapremo solo alla fine di tutto. Pian piano ringraziando il Cielo l'epidemia sta calando e sembra che all'interno della casa missionaria si stia tornando alla normalità. Quel che resta però è un grande senso di ingiustizia, a livello politico ci siamo fatti prendere impreparati con una sanità che ha subito troppi tagli negli ultimi decenni e a livello sanitario e sociale non è stato un caso isolato perché quello che è successo è accaduto anche in molte Rsa in tutta Italia, decimando i nostri anziani».
«Siamo stati impreparati anche a livello morale perché non si può essere Cristiani e fare orecchie da mercante, non si può predicare un Vangelo e avere privilegi, il nostro Dio è un Gesù che andava tra i moribondi, che pativa la fame che soffriva con gli ultimi. Non è un Dio di privilegi o di ricchezze. Non possiamo essere ciechi e fare finta di niente dinanzi ad un grido disperato di aiuto».
«Nonostante tutto io avrò la fortuna di riabbracciare mio zio ma molte persone non hanno avuto questa possibilità, non hanno potuto guardare negli occhi i propri cari, non hanno potuto abbracciarli, sorridergli e incoraggiarli nel momento del trapasso. Ci tengo infine a sottolineare che non esistono persone di serie A e di serie B e questo messaggio deve arrivare ben chiaro a tutti ai potenti, ai ricchi e a chi crede di essere eterno».
«Infine voglio lasciarvi un mio pensiero personale: quando non sapevo se avrei mai più rivisto mio zio ho provato dentro di me il forte desiderio di dirgli tante cose che non gli ho mai detto e la mia paura era che potesse morire senza dirgliele. Ecco penso a quanti non hanno potuto farlo. Penso che d'ora in poi dirò più spesso quei grazie che magari non ho avuto il coraggio di dire, quei ti voglio bene che a volte vorrei dire ma di cui mi manca il coraggio».
«Penso, nonostante tutto, che questo virus ci possa portare a riconsiderare le cose preziose della vita che sono i nostri affetti più cari».