Il suicidio assistito ha scatenato le reazioni dei vescovi svizzeri che hanno scritto un testo ricco di orientamenti pastorali dal titolo ‘Attitudine pastorale davanti alla pratica del suicidio assistito (dicembre 2019)’. Occorre o no accompagnare colui che richiede la morte, senza tuttavia condividerne l’istanza? Il segno riconoscibile per ora è l’assenza di pastori nel momento in cui si procede per via orale o per via endovenosa al farmaco letale.
Il documento più recente è stato diviso in tre parti, che si interrogano proprio su questo dramma: la sfida all’etica sociale del suicidio assistito; l’accompagnamento ecclesiale e il discernimento per alcune situazioni particolari.
Ricordiamo che i sacramenti dell’unzione degli infermi e dell’eucarestia dei malati «non possono essere celebrati come preparazione al suicidio. Può tuttavia succedere che amministrare un sacramento abbia la sua ragione nell’accompagnamento pastorale». In particolare quando vi sia speranza di un ripensamento. «Se le affermazioni e l’agire indicano che la persona ripensa la propria decisione e si ravvede i sacramenti possono essere celebrati. Se quello che essa dice e decide va nella direzione del suicidio assistito, l’amministrazione dei sacramenti deve essere posticipata o negata».
Ma tornando ai sofferenti che versano in grande crisi di coscienza, il punto è la loro percezione di perdere la propria dignità, quando «l’esperienza mostra che un trattamento antidolorifico efficace, una lotta adeguata contro i sintomi e una cura umana e affettuosa sono gli atteggiamenti più adatti a cancellare il desiderio del suicidio e ad aprire nuove prospettive» si scrive nel documento.
A fianco di queste dimensioni personali c’è una responsabilità sociale, perché nessuno investe maggiormente sulle cure palliative? La dignità è inalienabile per ogni essere umano, ed è su quello che occorrerebbe puntare. Invece si induce la gente quasi a dover chiedere il suicidio assistito per malattia o depressione o per bullismo per esempio. Dicono che esageriamo quando denunciamo questa deriva, ma non è così.
Dunque il suicidio assistito non può diventare eticamente una prestazione di servizio, neppure pastorale. «Primum non nocere» diceva Ippocrate, relativamente all’etica della cura medica. Quanto all’azione pastorale è uguale. Autodeterminazione non può significare accettazione della via del suicidio assistito come atto di libertà. Bisogna contrastare questa deriva. Anche i pastori.
di Jacopo Coghe