La scorsa settimana la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ha emesso una sentenza sul caso Lings vs Danimarca (ricorso n. 15136/20). Il ricorrente, Svend Lings, era stato condannato dai tribunali danesi per aver provocato un suicidio assistito. Ha fatto ricorso contro questa decisione, sostenendo che fosse "una violazione del suo diritto alla libera espressione".
La Corte ha respinto all'unanimità la sua domanda. Svend Lings è un cittadino e medico danese, fondatore di Physicians for Euthanasia , un'organizzazione che si batte per il suicidio assistito, aveva distribuito su internet una "guida" intitolata "Suicide drugs". Una pratica permessa dalla legge danese. Nel 2017 lo stesso Longs aveva dichiarato in un'intervista di aver "aiutato" una persona a suicidarsi. Radiato dalla professione medica, fu infine accusato di due suicidi assistiti e di un tentato suicidio assistito.
Il 26 settembre 2018, i tribunali danesi lo avevano condannato in primo grado per due di questi tre capi d'accusa. La Corte d'appello lo ha poi dichiarato colpevole per tutti e tre i capi d'accusa, decisione confermata nel 2019.
Nell’emettere il verdetto, il tribunale danese si era basato in particolare sul "fatto che l'interessato aveva prescritto farmaci (Fenemal) a due persone che sapeva essere intenzionate a suicidarsi e aveva consigliato a un'altra persona di mettersi un sacchetto di plastica sulla testa, nello stesso momento in cui gli stava somministrando un'overdose di farmaci”. Due persone sono morte, la terza è sopravvissuta.
Il 18 marzo 2020 Svend Lings ha dunque deciso di rivolgersi alla CEDU, invocando l'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che protegge la libertà di espressione. Per la Corte europea, è vero che la pubblicazione della guida in questione era legale, ma il caso riguardava "consigli specifici" che il ricorrente aveva dato a tre persone.
In Danimarca, il suicidio assistito è illegale dal 1930, perciò "né la condanna né la pena inflitta erano eccessive in questo caso", ha deciso la CEDU. Per la Corte europea, "gli obiettivi perseguiti dalle autorità (protezione della salute, della morale e dei diritti degli altri) erano e rimangono legittimi. Le autorità hanno il dovere di proteggere i membri vulnerabili della società".
In questa sentenza, quindi, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ribadito che “la Convenzione non sancisce il diritto al suicidio assistito". Questo è chiaramente un utile promemoria per tutti quei paesi, inclusa l’Italia, che invece stanno pensando proprio di legalizzare e liberalizzare il suicidio del consenziente e, di fatto, l’eutanasia.